L’analisi di Pasquale Lucio Scandizzo presentata su Formiche.net del 24 aprile non fa una piega sotto il profilo tecnico, sia nel sottolineare l’ambiguità (e le diverse interpretazioni) del concetto di leva finanziaria sia nel fornire esemplificazioni connesse al Piano Juncker.
Temo, però, che al pari di numerosi altri piani della Commissione Europea – Lamfalussy, Ortoli, Delors – presentati da autorità europee (spesso all’inizio di mandato) la leva rischi di essere più mediatica (al fine di entrare sul palcoscenico con un cavatina in do maggiore) che reale. Non tanto perché la leva economico-finanziaria sia fantasiosa quanto perché c’è carenza di progetti cantierabili e la Commissione Europea ama operare in “beata solitudine” anche quando fa coppia con la Bei (con la quale di norma bisticcia come due amanti in procinto di abbandonarsi).
La “beata solitudine” è anche caratterizzata da una schizofrenia al limite di avere caratteristiche patologiche. Il regolamento del Fondo Europeo per Investimenti Strategici, Feis (quale approvato dal Parlamento Europeo) pare una delizia per burocrati psicopatici. Una circa cinquantennale esperienza con la Commissione Europea e la Bei mi induce a pensare che le convenzioni tra il Feis e la Bei, attese per giugno-luglio, complicheranno ulteriormente le procedure, invece di semplificarle (come è stata prassi nel passato).
E’ indicativo che la Cdp italiana e le consorelle Kfw, Cdc, Ico, Bgk hanno dichiarato di essere pronte a intervenire nel Piano Juncker con 33,5 miliardi contribuendo così all’effetto leva che può generare 315 miliardi di investimenti, ma pongono alcune condizioni. In una lettera congiunta firmata anche dalla Bei e inviata a Jean-Claude Juncker e Jyrki Katainen chiedono che le garanzie del Fesi non ricadano nel divieto di aiuti di Stato e non siano prezzate a livelli di mercato e che l’approvazione dei progetti sia più veloce.
Così il presidente della Cdp, Franco Bassanini, in un’intervista, ha sottolineato, correttamente, il successo del Piano Juncker si decide ora. “L’effetto anticiclico del Piano si gioca adesso, se sarà capace di far partire gli investimenti e quindi i cantieri fra la seconda metà del 2015 e il 2016. Se invece i progetti diventeranno cantierabili nel 2018 non dico – ha concluso – che il piano Juncker non valga niente, ma varrà pochissimo”. Come – aggiungo io – è avvenuto per analoghe operazioni del passato. Avranno mai una risposta adeguata? In passato, la Commissione ha preferito attenersi all’elogio del silenzio.
In sintesi, a mio avviso, il Piano Juncker è un grimaldello. Come tutti i grimaldelli, ha virtù: apre opportunità, opzioni reali, chiuse ermeticamente nelle 28 scatole dei piani d’investimento degli Stati Ue. Ha, però, anche vizi o rischi: toglie alle scatola la carta argentata e i fiocchetti di seta e, quindi, mostra quali scatole sono piene e quali vuote. Ed anche quali potrebbero essere piene se i vincoli del Fiscal Compact non mettessero a repentaglio fondi di contropartita, a valere sui conti dei singoli Stati, per attivare la finanza privata.
Per l’Italia, da un lato, il “grimaldello” minaccia di mostrare che quasi nessuna amministrazione ha ottemperato ai decreti legislativi 102 e 228 del 2011 di adeguamento alla normativa europea, con i quali si richiedeva una programmazione pluriennale per progetti esecutivi corredati da analisi economica e finanziaria. Di conseguenza, in una gara in cui i progetti non sono allocati per Paese ma scelti da un comitato di investimenti in base alla loro qualità e cantierabilità, rischiamo di restare a bocca asciutta. O quasi.
Al tempo stesso, però, il “grimaldello” si pone sul solco di una maggiore “flessibilità” nella lettura dei trattati europei e di accordi intergovernativi quali il Fiscal Compact. Già a dicembre – a causa del periodo natalizio pochi se ne sono accorti – una comunicazione della Commissione Europea chiariva che per investimenti di rilevanza europea i contributi diretti dei paesi al Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (il fulcro del Piano Juncker) non saranno “computati” ai fini della procedura per deficit eccessivo e che la Commissione terrà conto dei cofinanziamenti nazionali ai programmi europei nel valutare i progressi verso il pareggio strutturale, consentendo ‘deviazioni temporanee’, ma solo se l’economia è in recessione e sia rispettato il tetto massimo del 3% nel rapporto deficit/Pil.
Una nuova “Comunicazione” della Commissione ha iniziato il proprio percorso; potrebbe essere emanata prima dell’estate. È possibile un ulteriore ampliamento dell’interpretazione nell’ambito di un approccio coordinato di Bei (al centro del sistema) e banche nazionale di sviluppo e di promozione degli investimenti. In particolare, le “deviazioni” potrebbero diventare pluriennali (dato che tali sono gli investimenti), il tetto del 3% ammorbidito e con esso anche la clausola che ora richiede un’economia in recessione.
È un’opportunità importante per l’Italia, sempre che si sia in grado di allestire un adeguata platea di progetti. Altrimenti l’opportunità verrà colta principalmente da Germania ed Austria che hanno disperato bisogno di infrastrutture (principalmente nel comparto dei trasporti) e progetti pronti. Come ben sa chi si avventura sulle loro autoe sui loro treni. O chi legge i lavori della Bei, della Banca d’Italia e del Cnel sulla dotazione di infrastrutture in Europa.