Ci sia consentita (il verbo non è scelto a caso) una modesta proposta: in occasione del primo maggio venga restituito a Silvio Berlusconi il meritato titolo di Cavaliere del lavoro. Quel che sta combinando con il suo gruppo dimostra che non c’è in Italia nessun venditore abile come lui. L’interpretazione prevalente sui media è che stia cedendo tutto, a cominciare dal Milan, essendo giunta la sua avventura all’inevitabile autunno. Dunque Fininvest dovrebbe essere chiamata Disinvest? Calma e gesso.
Facciamo un passo indietro. Solo un anno fa sembrava chiaro che l’impero economico fosse se non proprio sull’orlo del declino in un cul de sac. Mediaset aveva chiuso in rosso il 2013. Mondadori era in difficoltà. Il Milan cambiava allenatore a ogni sconfitta. L’avventura sulla pay tv con Premium non andava da nessuna parte. Mentre il nuovo universo internet sembrava lontano, troppo lontano, quasi estraneo alla cultura berlusconiana.
Le cose sono cambiate con alcune mosse azzardate, come l’acquisto dei diritti della Champions League costati una barca di quattrini (oltre 600 milioni). Premium ha battuto Sky, e si è resa contenibile in un mercato come quello italiano dove non c’è spazio per rendere profittevoli due operatori della stessa taglia. Quanto al Milan, superate le resistenze di Adriano Galliani e della figlia Barbara, viene messo sul mercato asiatico (mezzo miliardo per il 51% offerto da Mr. Bee è un bell’acchiappo).
Insomma, in pochi mesi, Fininvest è uscita dal vicolo cieco, ed è diventata appetibile, anzi cercata attivamente persino da Rupert Murdoch al quale nel 1999 Berlusconi voleva vendere tutto e con il quale, invece, ha ingaggiato battaglie piene di colpi di scena e di colpi bassi, soprattutto nel periodo in cui da capo del governo ha avuto il potere di influenzare la regolamentazione e il mercato televisivo.
Non solo. La conquista di Vivendi da parte di Vincent Bolloré, amico e alleato di molte battaglie finanziarie, gli ha aperto una porta inaspettata. Bolloré s’avvia a diventare il primo azionista di Telecom Italia dove vuole diventare actionnaire de référence, esattamente come è accaduto con il gruppo francese. Siccome la tv del futuro passerà per la banda larga, tra Mediaset e Telecom potrà nascere qualcosa, come minimo un accordo commerciale, tipo quello stretto con Sky. Ma in ogni caso, avere un partner in posizione preminente per Berlusconi non accadeva da parecchio tempo. C’è pane per i denti di Pier Silvio che diventa amministratore delegato, completando quel salto generazionale (e filiale) a lungo annunciato.
In questo triangolo con Bolloré e Murdoch, dunque, va cercato il futuro di Mediaset, mentre Mondadori si è rimessa in sesto e da preda si fa cacciatrice: non ha ancora messo in carniere Rcs libri, ma a quanto pare non manca molto. Diventato il primo editore italiano, il gruppo di Segrate potrebbe anch’esso stringere un’alleanza internazionale, magari con lo stesso Bolloré, il quale aspira a diventare un attore di primo piano nei mass media sulla scena europea e mondiale. Vivendi possiede Canal Plus e Universal uno dei primi editori musicali mentre Bolloré controlla Havas tra i principali collettori e distributori di pubblicità che resta la fonte principale di incassi per la tv e la carta stampata. Se il finanziere bretone conquistasse anche Hachette, un’alleanza con Mondadori lo proietterebbe nell’empireo europeo in concorrenza con i tedeschi di Bertelsmann. E farebbe uscire l’editoria italiana dal suo limbo provinciale. Ben vengano editori internazionali per togliere ragnatele e rendere più moderna e indipendente la stampa che non parla le lingue e risciacqua i panni nell’Arno.
E Telecom Italia? Perché mai Vivendi che in Francia ai primi di aprile si è liberata della telefonia (possedeva l’operatore mobile Sfr), prende il controllo di un gruppo italiano? Perché punta a distribuire via cavo i film di Canal Plus e i telequiz di Mediaset? Forse, ma sarebbe poca cosa in un mercato grande, ma non strategico come quello della penisola. Oppure Telecom servirà come leva per operazioni di più ampio respiro come l’ingresso in Mediaset e Mondadori? Chissà. Per ora Bolloré si limita a indossare di tanto in tanto le cravatte che gli ha regalato Silvio (sempre le stesse a pallini del napoletano Marinella).
Ogni strategia in grande stile nei media e nelle telecomunicazioni è politicamente sensibile e non solo in Italia (Murdoch ha preso la cittadinanza americana per conquistare Century Fox). Nel 1999 Massimo D’Alema allora presidente del Consiglio decretò Mediaset un bene del Paese per scongiurarne la vendita. Che farà ora Matteo Renzi? Non risulta che ci siano rapporti diretti con Bolloré. Ma siamo solo all’inizio. Il finanziere francese, del resto, si è già da tempo italianizzato. Azionista di Mediobanca (in consiglio ha messo la figlia) e delle Generali, in Telecom può già contare sul fido Tarak Ben Ammar, sodale di Bettino Craxi e compagno d’avventure cinematografiche e finanziarie di Berlusconi. Dunque, un bel pezzo di recente storia italiana arriva da Tunisi fino alle scogliere di Brest, passando per Milano. Ma alla fine tutte le strade portano a Roma.
Stefano Cingolani