Noccioline o panna montata? Piano ambizioso o illusorio? Nuova era sviluppista o truffa mediatico-politica? Da giorni Formiche.net (qui un articolo di riepilogo) si sta ponendo alcuni interrogativi che riguardano il Piano Juncker.
Ad alcune prime conclusioni arriva l’editorialista Massimo Riva che, sull’ultimo numero del settimanale l’Espresso, scrive: “La storica svolta annunciata con il piano Juncker si rivela al momento niente più che fumo negli occhi per mascherare la sostanziale incapacità dell’Unione ad emanciparsi dalla luttuosa strategia rigorista che ha aggravato i termini della crisi soprattutto nei paesi più fragili. C’è da chiedersi che cosa aspetti il nostro governo a denunciare questa insostenibile ipocrisia“.
Eppure il Piano va, o meglio muove i primi passi, anche se non ufficialmente, nota Riva: “In cantiere ci sono appena quattro iniziative finanziate dalla Bei e che probabilmente la stessa banca avrebbe sostenuto anche senza l’intervento di Bruxelles“, ha scritto l’editorialista del settimanale l’Espresso.
Ma quali sono questi progetti già finanziati in attesa dell’avvio ufficiale del fondo Juncker e quindi in attesa della garanzia “europea”?
Un piano di ricerca per la salute in Spagna, l’allargamento di un aeroporto in Croazia, la costruzione di quattordici nuovi centri sanitari in Irlanda e un programma di sostegno all’innovazione industriale in Italia.
Sono questi i primi 4 progetti approvati il 22 aprile aprile dalla Banca europea per gli investimenti (Bei) e dal Fondo europeo per gli investimenti (Fei). Per i quattro interventi, ha annunciato la Bei, il consiglio direttivo ha approvato prestiti fino a un totale di 300 milioni di euro, per mobilitare un investimento complessivo di circa 850 milioni di euro, per progetti del settore pubblico e privato. L’Italia è tra i primi beneficiari, grazie all’approvazione del progetto di investimenti del gruppo siderurgico italiano Arvedi.
Proprio quel progetto in base al quale Formiche.net ha posto qualche domanda sistemica e su cui ora si concentrano i dubbi di Riva sull’impatto finanziario dei 4 piani approvati: “Si parla di appena 300 milioni che, stando alle migliori speranze, dovrebbero attivare investimenti complessivi per un totale di circa 850 milioni. In forza, quindi, di un moltiplicatore da uno a tre con tanti saluti a quell’uno a quindici sbandierato dall’ottimo Juncker nel suo programma di inizio mandato”.
Ma da dove nasce il rapporto 1 a 15 evocato da Riva? Vediamo. Partendo dai numeri essenziali del piano Juncker.
Anzi, più di un piano si deve parlare di un fondo: una posta patrimoniale che serve da base per un’attività addizionale della Bei (la banca dell’Unione europea) dal valore complessivo di 21 miliardi di euro.
Il fondo si chiama Efsi (European Fund for Strategic Investments) ed è composto da 5 miliardi che arrivano dalla Bei e 16 miliardi di euro che sono le garanzie messe a disposizione dalla Commissione europea (del valore doppio rispetto al valore degli stanziamenti del bilancio Ue sottratti ad altri capitoli di spesa, come svelato qui da Formiche.net).
A che serve il fondo? A finanziare investimenti pubblici e privati per realizzare opere per circa 315 miliardi di euro: 240 destinati a progetti infrastrutturali e innovativi; 75 a piccole e medie imprese.
Il fondo, come detto, mobiliterebbe quindi 315 miliardi di euro. Come? Grazie a un “effetto moltiplicatore combinato di x 15”, si legge nei documenti della Commissione europea che ora sono al vaglio dell’Europarlamento e del Consiglio Ue (e non mancano tensioni per il varo dei regolamenti attuativi, secondo alcune indiscrezioni).
Ovvero: ogni singolo euro del fondo mobilita 15 euro di investimenti. Questo rapporto nasce così. I 21 miliardi di euro permettono alla Bei di aumentare i prestiti, rispetto alla normale operatività, di 21 miliardi ogni anno nel periodo 2015-2017. O meglio, metà 2015-metà 2018, visto che l’Efsi è già in ritardo, come nota un report dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo. Quindi questa prima leva da “fondo” a “prestiti” è pari a tre, e dovrebbe portare la Bei a maggiori prestiti per complessivi 63 miliardi di euro (21 miliardi all’anno per tre anni. Quindi, 1 a 3.
Questi 63 miliardi – sempre secondo i documenti ufficiali della Commissione e della Bei consultabili da mesi sui rispettivi siti – avrebbero un “effetto catalitico” (così è definito dai tecnici bruxellesi) per altri 252 miliardi (pubblici e privati) portando quindi gli investimenti attivati a 315 miliardi (63 più 252) con una leva quindi di 5 da “prestiti Bei” a “investimenti attivati”. Ed ecco allora che si comprende la leva finale di 15, frutto della moltiplicazione fra 3 (leva da “fondo” a “prestiti Bei”) e 5 (da “prestiti Bei” a “investimenti attivati”): 3×5=15.
Nei Palazzi europei si continua a credere a questi numeri. In Italia un po’ meno. Troppi gufi, forse ha ragione Matteo Renzi…