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Banco Popolare, Ubi e Vicenza. Chi comanda le danze per le nozze tra Popolari

popolari sistema bancario

“La riforma delle banche Popolari preannuncia un’ondata di consolidamento, che potrebbe ristrutturare profondamente il sistema bancario e rilanciarne la redditività”. E’ l’incipit di uno studio congiunto di Boston Consulting Group e Bernstein che analizza il sistema delle Popolari italiani post-riforma, ipotizzando gli scenari che le nuove norme e la conseguente creazione di una bad bank potranno tracciare.

M&A DOMESTICO, MA ANCHE ATTACCHI DALL’ESTERO
Il quadro disegnato da Gennaro Casale, Matteo Coppola, Garabet Ayvazian (Boston Consulting Group) e Johan De Mulder (Bernstein) è abitato da Popolari più grandi, capaci di difendersi da possibili offerte ostili. Offerte che potrebbero arrivare anche da banche straniere a cui la forma di Spa – imposta per legge dal governo alle maggiori dieci Popolari – farà gola. E alle nuove Popolari si interesseranno anche gli investitori istituzionali, ma a patto che ci siano reali “cambiamenti soprattutto nella governance, nelle strutture di costo, nella qualità degli asset”, con i bilanci ripuliti.

IL VALORE DEI CAMBIAMENTI
A quanto ammontano in termini di numeri di bilancio questi cambiamenti? Gli analisti di Bcg e Bernstein, stimano che “le Popolari potrebbero aumentare il loro RoTE (rendimento del patrimonio netto tangibile), portandolo da negativo a oltre il 10% (aumentando cioè l’utile netto da -1,5 miliardi di euro a circa 4 miliardi), grazie all’effetto combinato di consolidamento settoriale e ripresa economica”. Il contributo maggiore alla situazione lo darebbe il controllo del costo del rischio che si ridurrebbe “da 247 punti base nel 2014 a 70 punti base, cioè vicino ai valori del 2010, pari a 4 miliardi di maggiori utili netti”. Un miliardo di maggiori utili netti deriveranno dalle economia di scala e dalla maggiore efficacia operativa dei consolidamenti. La ripresa economica avrà invece un (modesto) impatto sui ricavi con un aumento del 5% in due anni, ovvero 400 milioni di maggiori utili. “I risparmi complessivi (10-15% dei costi aggregati) potrebbero essere maggiori rispetto alle precedenti ondate di M&A (10-12%), che appunto non erano supportate da tali interventi strutturali”, scrivono gli analisti.

LE NUOVE POPOLARI
I numeri di sistema sono di tutto rispetto. Più in dettaglio quali saranno le nuove Popolari? “Tre aggregazioni sono oggi ritenute più probabili tra gli investitori – si legge nel report – Ubi con Mps, Banco Popolare con Bpm e Veneto Banca con Popolare di Vicenza. Un’alternativa è la fusione tra Bpm e Bper, come passaggio preliminare prima dell’aggregazione con una terza banca”. Mps è alla ricerca di un acquirente per completare il turnaround: con la ricapitalizzazione da 3 miliardi in programma, la banca sarebbe in grado sia di coprire i 2,1 miliardi di capitali che mancava all’appello degli stress test, sia di pagare il miliardo dei Monti bond. Bcg esclude che Intesa e Unicredit abbiano in programma operazioni domestiche. E dunque punta su una fusione di Siena con Ubi, che darebbe vita a un “campione nazionale, con un buon track record nell’efficientamento operativo e un livello di capitale sopra i minimi regolamentari”. Esistono tre opzioni per l’operazione: “Una fusione completa tra le due banche (ipotesi base); una scissione della parte “core” di Mps, che Ubi acquisirebbe, da quella “non-core”, da dismettere (potenzialmente, a favore di una eventuale bad bank); un’acquisizione da parte di Ubi della sola rete dell’ex-Antonveneta”. I costi operativi non verrebbero ridotto drasticamente, ma solo di 400-500 milioni (-8,10%) e il Cet1 si attesterebbe al 10%, senza considerare la ricapitalizzazione di Mps, con il peso delle sofferenze nette al 6,1%.

CAMPIONI DEL NORD
Oltre a Ubi-Mps, in lizza c’è un altro campione del Nord, quello costituito da Banco Popolare e Bpm, dotato di “un CET1 dell’11,7%”. “Entrambe le banche – si legge nel report – sono profondamente radicate in zone molto ricche (Veneto, Piemonte, Lombardia – tra cui Milano) e si sovrappongono nelle regione del Nord Ovest”. Importanti economie di scala, soprattutto per Bpm che si fonderebbe con una banca di due volte e mezzo più grande: i costi operativi potrebbero essere ridotti di 300-400 milioni, tra il 10 e il 12%. Ancora, una fusione possibile è quella tra “Veneto Banca e Popolare di Vicenza, che rafforzerebbero la loro presenza nel ricco Nord Est, diventando tra le prime cinque realtà dell’area”. I costi operativi potranno essere ridotti di 150-200 milioni, ovvero tra il 12 e il 15%. 
Infine, un’opzione alternativa è la fusione tra Bpm e Bper, seguita dall’acquisizione di un’altra banca (probabilmente Carige), per costituire così il quinto gruppo in Italia, che fungerebbe da piattaforma per successivi M&A. Un’operazione che ha dunque un valore che supera le sinergie della fusione in sé, comunque cospicue: “un eventuale gruppo Bpm-Bper-Carige sarebbe leader nel Nord Italia e godrebbe di una forte posizione anche al Sud. Tale gruppo sarebbe più grande dell’attuale Mps, con significative economie di scala, soprattutto dalla condivisione di servizi e procurement (risparmio totale pre-tasse di 300- 400 milioni)”, con “patrimonializzazione solida: il Cet1 sia di Bpm che di Bper è superiore a 11,5%, fattore che consentirebbe di assorbire Carige più facilmente”.



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