Skip to main content

Ecco cosa si farà (forse) in Libia

Libia haftar

Prima le navi e i droni, poi i sub in mare e gli incursori contro i vascelli fantasma, infine i “nostri ragazzi” metteranno gli anfibi sulla sabbia. E’ la logica, necessaria conseguenza del piano in discussione tra Bruxelles e il Palazzo di Vetro per fermare il flusso di disperati che partono dalla Libia.

In apparenza sembra il contrario, tutto resterà tra cielo e mare, niente terra, lo ha dichiarato Federica Mogherini smentendo un articolo del Guardian. Ma forse lo dice perché questa è la premessa per ottenere un mandato dell’Onu per quanto limitato, senza rischiare il veto di Russia e Cina. La rappresentante della politica estera e di sicurezza europea sa bene che siamo solo alla prima fase di quella che molto probabilmente sarà una reazione a catena.

Basta poco, è sufficiente una provocazione per scatenare tutte le forze già pronte a scattare. Dunque, è necessario essere pronti e speriamo che esistano piani militari accurati, ragionevolmente proiettati nel prossimo futuro.

Chi pensa che “affondare i barconi” sarà facile e definitivo o è un ingenuo o mente. I rischi di “danni collaterali”, cioè vittime tra i migranti, sono altissimi, perché è molto probabile che uomini e donne in fuga diventeranno scudi umani. E poi ci sono i “danni diretti” che potranno colpire i soldati in azione. Il traffico di persone in Libia è una importante fonte di finanziamenti per i signori della guerra, viene dopo il petrolio e gli aiuti esterni dai Paesi musulmani l’un contro l’altro armati. Dunque non c’è da farsi illusioni.

Si dice che in ogni caso ci vuole l’accordo delle autorità locali, come accadde in Albania dove il modello è stato sperimentato con successo dall’Italia, però a Tirana esisteva un governo e poi gli incursori erano solo la pattuglia armata di un intervento complesso e ad ampio raggio, di aiuti economici e sostegno politico alla transizione post comunista. Tutto ciò in Libia oggi non è possibile.

Lo sforzo militare in questa fase peserà soprattutto sull’Italia e poi su Inghilterra e Francia che manderanno le loro forze speciali. Toccherà a Roma fare da guida e coordinarsi con gli altri comandi. In Libano, Roma ha dimostrato di saperlo fare, ma laggiù la tregua era già stata raggiunta. In Libia invece si interviene nel bel mezzo di una guerra per bande.

Dunque, niente ipocrisia. Se deciso e condiviso, l’intervento va sostenuto in pieno, con mezzi economici che deve mettere a disposizione il Parlamento, con il consenso dell’opinione pubblica (meglio accapigliarsi subito e poi essere leali) e con la consapevolezza che è impossibile fermarsi a metà: non c’è soluzione se non si stabilizza la Libia.

Vasto programma, forse troppo vasto, tuttavia deve essere chiaro a tutti che si tratta del primo passo: stiamo entrando in un territorio pericoloso, speriamo che non sia una terra incognita. La distribuzione pro quota dei profughi (un indubbio successo italiano, del governo e della diplomazia) non ha nessuna prospettiva di durare se non si interviene nel caos libico, nient’affatto calmo, ma forse ben più razionale di quel che si creda perché jihadisti delle diverse sfumature e combattenti di varia dimensione e caratura si muovono mossi da fili che riconducono ad alcune potenze regionali in conflitto tra loro: soprattutto l’Arabia Saudita e l’Iran, le stesse che si confrontano in Siria, nello Yemen e in ogni scacchiere, per l’egemonia sul mondo musulmano.

Rispetto a questo grande gioco, tutti gli altri sono giochini minori, come quelli di Egitto e Turchia per sfere d’influenza importanti, ma in qualche modo subordinate. L’Isis, al Qaeda e l’intera galassia fondamentalista appare a questo punto messa in moto se non proprio diretta da ben altri burattinai. Zarqawi, Baghdadi, Omar, Afri o chi altro sembrano leader, ma sono marionette. Quindi, per riprendere il controllo della mezzaluna di sangue che va dal Nord Africa ai confini della Russia, bisognerà mettere in campo una strategia ad ampio spettro che coinvolga tutti i membri del consiglio di sicurezza dell’Onu e vagliare ipotesi coraggiose, innovative.

Ripristinare lo status quo è impossibile, ridisegnare gli antichi (artificiosi) confini è del tutto irrealistico (ciò vale per l’Iraq, la Siria e la stessa Libia), divisioni su basi etniche e religiose diventano pericolose. Occorre, dunque, un trattato di Westfalia tra le potenze globali e regionali che assicuri un equilibrio (flessibile, ma rispettato) per la prossima generazione. Utopia. Per ora.

Stefano Cingolani


CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter