S’ode un certo subbuglio nel mondo delle Banche di credito cooperativo (Bcc). Un subbuglio che si propaga anche nei palazzi della politica e delle istituzioni finanziarie, in primis la Banca d’Italia. Ma andiamo con ordine, cercando di capire che cosa sta forse davvero accadendo.
Tutto parte, anche se nessuno lo certifica o lo ammette, con quella bozza del ddl Concorrenza che era stata predisposta dai tecnici del governo in cui l’abolizione del voto capitario non veniva prospettata solo per le banche popolari con attivi superiori agli 8 miliardi di euro (come poi è stato deciso dall’esecutivo con un decreto) ma per tutte le banche popolari e di credito cooperativo. Insomma, quello scenario è comunque auspicato sotto sotto dal governo, anche per gli auspici di Bce, Fmi e chissà di chi altri.
Per questo le banche del settore, per sventare interventi normativi in stile Popolari, si stanno acconciando per progettare formule societarie e aggregative che vadano nella direzione dei desiderata di Francoforte e soprattutto di Berlino. Per questo anche in ambienti di Federcasse presieduta da Alessandro Azzi si sta valutando la creazione di un solo gruppo bancario di credito cooperativo che faccia perno magari su Iccrea Holding presieduto da Giulio Magagni e nel cui cda siede anche Azzi.
Questa proposta di riforma, secondo gli intenti di alcuni esponenti del mondo delle Bcc, come scrive Affari & Finanza del quotidiano la Repubblica, deve avere l’ok della Banca d’Italia e poi sarà presentata al governo: “Da lì partiranno le necessarie modifiche legislative al Testo unico bancario (probabilmente con la firma del decreto legge) per cambiare l’assetto delle Bcc”, ha scritto Repubblica.
Tutto liscio? Nient’affatto. I mugugni delle piccole e medie Bcc sono latenti: temono di essere stritolate in una realtà maggiore a detrimento della periferia. In verità anche in alcune grandi Bcc si iniziano a porsi interrogativi del tipo: in una realtà unica o più grande ci accolleremo le zavorre delle piccole Bcc?
Inoltre alcuni tecnici del settore stanno sussurrando ai banchieri del settore un dubbio: attenzione – dicono – creando gruppi bancari con attivi superiori ai 30 miliardi di euro si finirebbe per essere vigilati dalla Bce con sicuri effetti come richieste di aumenti di capitale, parametri patrimoniali più stringenti e, di conseguenza, meno credito da poter erogare rispetto alla situazione attuale.
In verità i subbugli solcano anche la Banca d’Italia, come attesta una nota dei dirigenti del Sindirettivo-Cida dell’Istituto di via Nazionale governato da Ignazio Visco. I dirigenti di Palazzo Koch si chiedono se i vertici della Banca centrale sono consapevoli degli effetti di quanto auspicato di recente dal capo della Vigilanza di Bankitalia nel corso di un convegno a Bolzano: “E’ necessario un riassetto più incisivo, che consenta di conseguire al più presto l’ammodernamento della gestione, il rafforzamento strutturale della redditività e la capacità, ove necessario, di reperire risorse patrimoniali anche consistenti in tempi brevi”.
La vera domanda che si cela dietro questi temi è la seguente: continuiamo ad andare sempre più veloci verso un sistema creditizio che sarà annichilito da norme e indirizzi europei a beneficio in particolare del sistema tedesco? Una domanda – per nulla becera – che merita approfondimenti e analisi degli esperti, se non degli addetti ai lavori. Senza diplomazie e giri di parole, se possibile.