Una lunga e segreta “black list”. Vladimir Putin avrebbe stilato una lista di 89 nomi appartenenti a personalità politiche e funzionari militari di tutta l’Europa a cui viene bandito l’ingresso in Russia. Lo scrivono il Bild e la Faz specificando come questa rappresenti la risposta di Mosca alle sanzioni occidentali imposte in conseguenza della crisi ucraina.
I NOMI FINITI NELLA “LISTA NERA”
Un portavoce degli Affari esteri europei ha riferito a Reuters che negli scorsi mesi la Russia ha negato l’ingresso nel Paese a diversi politici europei, sulla base di un elenco “confidenziale”. Nonostante ciò, finora Mosca non aveva diffuso indizi che potessero far pensare a una vera e propria “lista nera”. Dopo la diffusione della notizia, sono trapelati alcuni nomi degli “indesiderati” in terra russa: il segretario generale del Consiglio dell’Unione europea, Uwe Corsepius, destinato a diventare consigliere per gli Affari esteri della cancelliera tedesca Angela Merkel; l’ex vice premier britannico, Nick Clegg; l’ex premier belga e deputato liberale all’Europarlamento, Guy Verhofstadt; il vice ministro alla Giustizia polacco, Robert Kupiecki; l’ex ministro alla Difesa britannico, Malcolm Rifkind; la capa dell’autorhity fiscale svedese, Eva Lidstrom Adler. Infine nella lista spunta anche un’italiana, Anna Maria Corazza Bildt, naturalizzata svedese dopo il matrimonio con l’ex premier Carl Bildt e ora eurodeputata con il Partito Moderato, nel Ppe.
IL CASO WELLMAN
Di recente, il 24 maggio, a un deputato del Bundestag e al presidente del gruppo parlamentare tedesco-ucraino Karl-Georg Wellman, era stato vietato l’ingresso in Russia senza addurre motivazioni, dopo che era atterrato all’aeroporto Sheremetevo di Mosca. Wellman era stato, addirittura, costretto a passare la notte nella sala di transito dell’aeroporto e a dover ripartire all’alba del giorno dopo. Un episodio che ha sollevato una tempesta mediatica tra tedeschi e russi, e ha spinto il governo della Merkel a presentare un reclamo ufficiale nei confronti del Cremlino. Nonostante Wellman fosse conosciuto per le posizioni critiche rispetto al coinvolgimento della Russia nel conflitto ucraino, si era recato in Russia non per incontrare i leader dell’opposizione ma perché invitato da Konstantin Kosachyov, presidente del comitato della Federazione Russa Consiglio sulla politica estera, e Sergei Glazyev, un consigliere del presidente Vladimir Putin.
LA DIPLOMAZIA LATITA
Un affaire che non fa altro che bloccare ancora di più la macchina diplomatica sul fronte ucraino. Il Cancelliere Merkel, garante principale del cosiddetto protocollo di Minsk, sta facendo del suo meglio per salvare il traballante accordo di pace tra separatisti russi e governo ucraino. Ma, man mano che il tempo passa e il conflitto si inasprisce, ci si rende conto che nessuna delle parti lo vede come l’inizio di un accordo di pace duraturo. Del resto, l’accordo di Minsk, originariamente sottoscritto a settembre e modificato nel mese di febbraio, fornisce alibi utili a tutte le parti in causa: all’Ucraina, che sta perseguendo la reintegrazione delle regioni separatiste con mezzi pacifici; alla Russia che è solo un “vicino” pacifico ma preoccupato per la situazione; infine all’Occidente che ha fatto di tutto per porre fine al conflitto.
Con l’eccezione dei rappresentanti dei ribelli, tutte le parti coinvolte ripetono instancabilmente dall’inizio che «non ci può essere alcuna soluzione militare al conflitto». Ma, come riporta Reuters, «la verità che nessuno può dire ad alta voce è che l’accordo di Minsk è non la soluzione al problema, è solo servito a tamponare una situazione totalmente fuori controllo».
LE OMBRE SUL CASO DI PRESUNTO AVVELENAMENTO DI VLADIMIR KARA-MURZA
Una mossa, quella della “back list”, che arriva a poche ore di distanza dello scossone provocato dalla vicenda di Vladimir Kara-Murza lo storico, politico e giornalista, coordinatore di Open Russia (il “movimento sociale” fondato da Mikhail Khodorkovskij) e dirigente di RPR Parnas, il partito di Boris Nemtsov, che lotta fra la vita e la morte a causa di una sospetta e improvvisa insufficienza renale che molti attribuiscono ad un avvelenamento. «La situazione è più seria di quanto pensassimo», ammette il padre di Vladimir mentre la moglie, Evghenija, parla di «sintomi da avvelenamento» e insiste per trasferire il marito in Europa o in Israele: «In Russia è in pericolo».
Se al momento i medici del 1° Ospedale Pirogov di Mosca parlano di intossicazione, alludendo forse a una dose eccessiva degli antidepressivi che Kara-Murza avrebbe iniziato a prendere dopo la morte – anch’essa sospetta – dell’uomo che aveva sempre al suo fianco, appunto Nemtsov, gli attivisti dell’opposizione russa ricordano che Vladimir Kara-Murza si è sentito male il giorno successivo alla presentazione di un film-documentario, “La Famiglia”, prodotto da Open Russia: un atto di accusa nei confronti di Ramzan Kadyrov, signore della Cecenia.
LA PRATICA DEGLI OMICIDI CAUSATI DA AVVELENAMENTO
Un’altra ombra si allunga, così, su Putin. Non sarebbe affatto la prima volta, infatti, che la Russia utilizza questi sistemi per togliere di mezzo oppositori agguerriti e figure che potrebbero minare la stabilità del governo stesso. Il New Yorker, nell’articolo intitolato provocatoriamente “La Russia di Putin: non camminare, non mangiare, non bere”, scrive a tal proposito: «Gli omicidi per avvelenamento sono molto più frequenti di quelli causati da armi da fuoco». Il più famoso è quello del dissidente russo Alexander Litvinenko, morto nel Regno Unito nel 2006 per avvelenamento da polonio. Litvinenko morì in circostanze ancora oggi poco chiare e da allora circolano racconti, analisi e supposizioni che attribuiscono al governo russo un ruolo nella vicenda.