Pensando al 27 giugno, è difficile dire se De Luca sarà riuscito a far partire la sua giunta in Campania, se la Grecia sarà ancora nell’euro o chi governerà la FIFA al posto di Blatter. È però facile prevedere che agli italiani sarà rifilato, insieme al doveroso ricordo che ci unisce tutti, il solito copione stantio degli appelli al Capo dello Stato per la ricerca della verità, delle rogatorie internazionali e dei nuovi supertestimoni sulla tragedia di Ustica.
La valanga di retorica, ascoltata sempre più distrattamente da un’opinione pubblica ormai satura, nasconderà la vera novità sulla vicenda di 35 anni fa: quella degli indennizzi riconosciuti in sede civile ai parenti delle vittime e agli eredi della compagnia Itavia. Si potrebbe chiamarla la Fase 2 (o forse 3, dato che segue l’eterna inchiesta e le limpide sentenze penali). Comunque la si voglia chiamare, il fenomeno vede le finanze pubbliche italiane depredate sistematicamente dalle sentenze dei tribunali civili che accolgono tout court le istanze di indennizzo dei parenti delle vittime e degli eredi della compagnia Itavia. Per ora le sentenze sono tre, ma è ragionevole attendersi un salasso regolare, fino all’esaurimento dei presunti aventi titolo, con un esborso per le casse pubbliche di molte decine di milioni di euro, forse più.
Il teorema alla base delle nuove sentenze risarcitorie è quello, in verità assai vecchio, del missile. Secondo un giudice monocratico a Palermo, quel maledetto 27 giugno 1980 l’aereo Itavia cadde perché colpito da un missile. Ai fini civili non importa chi lo abbia lanciato, perché il fatto stesso basta a condannare i ministeri della Difesa e dell’Interno per omessa vigilanza, e dunque a obbligarli a risarcire le vittime.
Peccato però che altri giudici, in sede penale e fino al terzo grado di giudizio, dopo il procedimento penale più lungo della storia italiana, abbiano già sancito una verità diametralmente opposta. Sono passati infatti quasi dieci anni da quando, nel 2007, la Cassazione assolse tutti gli imputati stabilendo con certezza che il DC-9 cadde a causa di una bomba collocata nella toilette posteriore. Una sentenza basata su una base tecnica inscalfibile, alla quale avevano contribuito alcuni dei più accreditati tecnici al mondo (Frank Taylor e Göran Lilja, su tutti) e che è accettata in tutti i consessi tecnici del mondo.
Ma non dal Giudice Onorario Aggiunto di Bronte (Catania). Il magistrato Francesco Batticani ha infatti stabilito che la causa della sciagura è stata tutta un’altra (appunto un missile), una conclusione tanto più inspiegabile ove si pensi che vi è giunto senza avere neppure dato un’occhiata alle carte del processo penale e senza giustificare il ribaltone con alcun nuovo elemento: né perizie, né testi, né tantomeno dibattimenti.
Si potrebbe pensare che, in fondo, a 35 anni di distanza sia giusto aiutare le famiglie. In realtà c’è da ricordare un’altra questione poco o per nulla nota. Gli indennizzi milionari non sono i primi, ma si aggiungono a una serie di altri provvedimenti presi nel corso degli anni, dal vitalizio mensile netto di 1.864 euro ai 200.000 euro concessi a ciascuna delle 141 famiglie coinvolte in base alla legge sulle vittime del terrorismo (a proposito: il terrorismo forse c’azzecca più con le bombe che con i missili…). A questi milioni posti a carico dello Stato con leggi votate dal Parlamento si aggiungono ora i nuovi indennizzi stabiliti dai giudici monocratici ordinari aggiunti.
Di fronte alla macroscopica incongruenza tra gli esiti del procedimento penale (meticoloso e collettivo) e di quello civile (frettoloso e monocratico) si può ben capire perché l’incertezza e la farraginosità del diritto civile spingano gli investitori stranieri a fuggire dall’Italia. È vero che anche altrove si sono avute decisioni contrastanti in sede penale e civile, ma credo sia impossibile trovare un altro caso nel quale il magistrato civile non ha neppure esaminato la mole di materiale alla base delle assoluzioni nel processo principale (in circa 20 anni: un milione e settecento mila pagine di istruttoria, 4.000 testi, 227 udienze dibattimentali) e in quelli collegati. Anche perché sarebbe bastato leggere qualche decina di pagine delle sentenze per far sorgere più di un dubbio sulla fondatezza della tesi del missile.
Come sempre in Italia, a tutto questo bisogna aggiungere l’aspetto della politica. L’assalto ai conti dello Stato, già sotto pressione per mille altri motivi, non ultimo dei quali la sentenza sulle pensioni, è una sorta di #matteostaisereno da parte di Enrico Letta. Fu durante la sua breve stagione di governo che lo Stato rinunciò a ricorrere in appello contro la prima sentenza civile a Palermo, così come nel 2006, quando era sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il governo decise di ricorrere in Cassazione contro le assoluzione penali. (L’abbiamo già detto? La Suprema Corte confermò tutte le assoluzioni).
Che si può fare a questo punto? Al posto della retorica, sarebbe il caso di dare concretezza e senso dello Stato al trentacinquesimo anniversario, mettendo al lavoro i giuristi per disinnescare il missile e far valere la sentenza penale anche in ambito civile, anche solo riconducendo la competenza di questioni tanto importanti sotto il profilo economico (ma anche morale) a tribunali più robustamente strutturati.
Tardi? Se lo si sta facendo con le pensioni, dove si lavora per disinnescare addirittura la Corte Costituzionale, sarà davvero impossibile appellare un Onorario Aggiunto? Quale che sia la soluzione tecnica, è necessario fermare il salasso delle casse pubbliche. Perché, come direbbe Schäuble a Varoufakis, è il milione che fa il deficit.