Le primarie sono diventate il pretesto con cui le correnti di partito misurano il proprio peso perdendo di vista l’obiettivo di selezionare il candidato migliore per le elezioni vere e proprie.
Ne è convinto Paolo Pombeni, politologo già docente all’Università di Bologna e oggi direttore dell’Istituto storico italo germanico. “Le primarie così come sono praticate in Italia non servono allo scopo – ha scritto Pombeni su MentePolitica, la rivista online che dirige -. Il loro obiettivo dovrebbe essere infatti quello di sottrarre la scelta dei candidati ai caminetti dei partiti, affidandola al popolo degli elettori-simpatizzanti”. Tuttavia, qualcosa sta andando storto, come rivelato dai risultati del Pd alle regionali e ai ballottaggi delle comunali, tanto che ora lo stesso premier Matteo Renzi mette in discussione il ricorso a questo strumento di selezione delle candidature.
Professor Pombeni, fa bene Renzi a voler archiviare le primarie, come ha ipotizzato su la Stampa?
Le primarie sono un sistema di selezione della leadership politica importato in maniera eccessivamente meccanica dagli Stati Uniti, senza nemmeno sapere esattamente come funziona là. In Italia si è voluto introdurre in tutta fretta questo nuovo habitus affidandogli subito un compito molto difficile. Così è accaduto che se le primarie vengono circoscritte ai militanti, di fatto finiscono per essere un modo per le correnti di contarsi, mentre se vengono estese ai simpatizzanti e agli elettori, si corre il rischio di inquinamenti. Il debutto con le primarie vinte da Prodi è avvenuto però in un contesto nel quale non emergevano certe preoccupazioni, mentre in seguito si è arrivati a un risultato catastrofico.
Catastrofico? Non sta esagerando?
No, perché queste primarie non rappresentano un test per capire come si orienta l’elettorato ma una gara tra le fazioni interne ai partiti. Non c’è quindi l’interesse a fare emergere il candidato con più probabilità di vincere alle elezioni, si punta piuttosto a premiare colui che può in quel momento rappresentare la propria corrente e il proprio gruppo.
Renzi dovrebbe abbandonare le primarie quindi?
Da un lato, Renzi farebbe bene ad abbandonare le primarie, perché così non funzionano bene. Ma se le molla del tutto, è costretto a tornare alla designazione di candidature e incarichi da parte degli organi centrali del partito. C’è quindi un impasse spaventoso, dal quale credo si possa uscire soltanto inventandosi un sistema misto che consenta in qualche modo di coinvolgere militanti e simpatizzanti, registrando però la loro adesione e partecipazione e lasciando l’ultima parola ai vertici del partito, a meno che il vincitore non si imponga con percentuali molto alte.
Ossia?
Un conto è se un candidato vince le primarie con oltre il 75% dei consensi, altra cosa è se non supera nemmeno il 50% o arriva poco sopra. In questo caso non c’è un vero vincitore ma solo un signore che ha più sostenitori rispetto nel partito rispetto a un altro. Sarebbe quindi più corretto che la decisione finale venisse presa in una seconda istanza del partito, da un organismo che valuta l’andamento delle primarie e può anche decidere di non confermarne il risultato. Serve però qualcuno che si prenda la responsabilità di questa scelta finale, per evitare che le primarie diventino solo la passerella del più bello del reame.
Quale insegnamento arriva per Renzi dalle ultime elezioni?
Che se non mette mano ai territori, non può nemmeno pensare di riformare questo Paese. Va poi tenuto in considerazione un altro fatto: il centrodestra non ha avuto un grande successo, lo hanno avuto invece i 5 Stelle in quei luoghi dove si poteva puntare su una protesta facile e nei piccoli centri. Inoltre, si sono affermati candidati tendenzialmente civici, persone quindi che rifiutano etichette di partito. Per il Pd e per Renzi si apre quindi un problema che ha sempre avuto il vecchio Pci: la capacità di incidere sulla borghesia e sulle classi dirigenti dell’area moderata e di centro.
Fa bene il premier a tornare il Renzi 1 rottamatore?
Anche il Renzi 1, a parte aver messo in un angolo D’Alema e pochi altri, non è che abbia fatto chissà quale rottamazione. Il problema vero è se Renzi capisce che per cambiare davvero le coordinate del sistema politico italiano deve costruire coagulare attorno a sé larghi strati della società civile e non solo chi ha conosciuto qua e là quando faceva politica in Toscana o nell’ultima fase della sua esperienza al governo.
Il caso Venezia, con la sconfitta del civatiano Casson, deve fare riflettere?
Sì, dimostra come ci sia anche un problema di persone. E’ sbagliata l’idea che si possa vincere mettendo su una maschera da commedia dell’arte come quella del magistrato paladino della giustizia che indaga tutti ma non ha capacità di comunicazione politica e al quale non si può attribuire la gestione di nulla.