L’Indagine conoscitiva su informazione e Internet in italia. Modelli di business, consumi, professioni – presentata a Roma dall’Agcom il 16 giugno – porta con sé due aspetti di grande interesse. Uno di sostanza, legato alla messe di dati (234 corpose pagine, di numeri ed elaborazioni). L’altro, il clima che gira intorno all’evento di presentazione in sé.
Cominciamo dall’inizio. Il Rapporto dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha come obiettivo l’analisi di “ogni componente del sistema nazionale, investigandone direzione e velocità di cambiamento, anche in funzione dello scenario tecnologico e di mercato”, spiega l’Executive Summary che apre il documento. Ciò a partire dall’assunto che “Il mondo dell’informazione è soggetto ad una radicale trasformazione, che sta rapidamente coinvolgendo forme di consumo, modelli di business, modalità di generazione, composizione e offerta del prodotto informativo, fino ad arrivare alla natura stessa della professione giornalistica”. Alla base dell’indagine ci sono, perciò, tre temi: professione giornalistica, caratteristiche economiche dell’offerta e peculiarità della domanda di informazione.
Tutto questo in un mondo che corre più del pensiero: tant’è che, in un’indagine svolta lo scorso anno, non vi può essere, fatalmente, traccia di iniziative che hanno appena fatto irruzione nel mondo dell’informazione come quelle di Facebook (Instant Articles) e Google (Digital News Initiative) che, di per sé, possono segnare un altro cambio d’epoca. Insomma, le analisi di sistema, oggi, si trovano di fronte al problema di invecchiare prima ancora di essere presentate (e questo, rispetto, ad esempio ai modelli di business, può essere un fatto consistente). Dopotutto, i principali player del mercato in rete – Google, Facebook e così via – sono imprese globali che hanno assunto, ormai, un connotato quasi metafisico. Parlare, perciò, di mercato, fiscalità, modelli di business su scala nazionale – aldilà dei compiti istituzionali di un’Autorità governativa – è un po’ come guardare il mondo con un cannocchiale rovesciato. Tanto che la premessa dell’indagine stessa afferma che “La crescita esponenziale della piattaforma Internet quale strumento di informazione globale costituisce uno degli aspetti più rilevanti del nuovo ecosistema tecnologico e di mercato”. E Internet, senz’altro, non conosce confini nazionali.
Cinque i capitoli su cui è articolata l’indagine. Il primo è sull’informazione in sé: raccolta, selezione, strutturazione e diffusione delle notizie. Il secondo è dedicato allo stato della professione giornalistica nel Paese. Una fotografia di un sistema impreparato ad affrontare i cambiamenti in corso nell’universo dell’informazione. Il terzo affronta gli investimenti nel campo e la sostenibilità economica del prodotto informativo nel contesto attuale. L’analisi della domanda e il mutamento del ruolo dell’utente dell’informazione è al centro del quarto capitolo. Il quinto affronta il ruolo delle Istituzioni di fronte all’evoluzione tecnologica dei media, invocando un nuovo quadro di regole che disciplinino il sistema dell’informazione nella sua evoluzione.
Citiamo la nota più dolente: i ricavi che subiscono una contrazione vertiginosa. Dal 2009 la sola stampa quotidiana ha perso il 35%: oltre un miliardo di euro. Ma non va particolarmente meglio, nel complesso, agli altri segmenti classici dell’informazione. La rete è l’unica a mostrare ricavi in crescita ma la sua incidenza su quelli complessivi dell’informazione (15%) non compensa la perdita complessiva.
Nel corso della presentazione, il presidente dell’Autorità, Angelo Marcello Cardani, ha indicato alcuni nodi che riguardano il sistema ed il legislatore: dagli indici di lettura in calo alla riorganizzazione del modello d’impresa editoriale, al web come opportunità ma anche acceleratore della crisi. E dato delle indicazioni: rivedere il quadro delle regole in un contesto così mutato; riformare l’ordinamento della professione giornalistica; rinnovare le politiche di sostegno pubblico alle imprese; evitare cessioni di sovranità e guidare il processo. Controllare insomma la transizione e minimizzare i danni.
E qui torniamo al clima del dibattito citato all’inizio. Perché quali possono, effettivamente, essere gli strumenti di controllo nazionali di processi globali e velocissimi? Il panel chiamato a dibattere la ricerca – moderatore Stefano Carli de “la Repubblica”; Antonio Martusciello, commissario Agcom; Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei Giornalisti; Fabrizio Carotti, direttore generale della Fieg; Fedele Confalonieri, presidente Mediaset; Andrea Fabiano, vicedirettore di Rai 1 (in sostituzione della presidente Tarantola) – è sembrato affrontare le questioni sul tavolo in ordine sparso. Confalonieri, ricordando Montanelli e Brera come giornalisti-brand in grado di spostare con sé lettori da una testata all’altra, ha sostenuto che il contenuto vince sempre. Contenuto da tutelare. E ha ricordato ancora una volta, come già di recente, alla presentazione del bilancio Mediaset, lo squilibrio fiscale a favore di Google e dei vari network in rete. Posizione non lontana da quella di Carotti, che ha ricordato che l’informazione di qualità ha un prezzo che deve essere protetto da forme di concorrenza sleale. Parla della volontà dell’Ordine il presidente dei giornalisti, Iacopino. Sì, la riforma dell’ordinamento è necessaria, ma deve essere rispettosa della realtà. Perché nelle redazioni aumentano le ore lavorate. Ma sono redazioni vuote, i cui addetti diminuiscono costantemente.
Certo, come ogni sistema, anche quello dell’informazione è composto di legittimi interessi che devono essere rappresentati. L’impressione dell’osservatore è, però, quella della fotografia di un sistema che, mentre la realtà gli scappa di sotto i piedi alla velocità della banda di connessione, non riesce proprio in una cosa: “Fare sistema”. Nell’illusione, forse, che il legislatore possa fermare la realtà ai confini nazionali.