Può darsi che, al contrario dell’opinione corrente, la prossima non sia la settimana decisiva, è possibile che si vada ai tempi supplementari, ma in ogni caso lo psicodramma greco deve arrivare a una conclusione e il consiglio europeo deve trovare una via d’uscita. Quale? Il gioco si fa duro e i duri entrano in gioco, esattamente come accadde nel 2011. E’ interesse dell’Unione europea salvare di nuovo la Grecia ed è interesse di tutti (anche dei greci) liberarsi di questi incompetenti che li hanno portati alla disfatta.
Non è facile. Bruxelles lo ha fatto con Papandreou e ha sbagliato perché nonostante i suoi limiti era un interlocutore preparato e molto più affidabile. Lo ha fatto con altri quattro capi di governo, tra i quali Silvio Berlusconi. Può farlo anche con Alexis Tsipras. Un golpe bianco? Al contrario, a differenza da quel che accadde in Italia, la scelta deve maturare dal basso. Ed è possibile.
Sono noti gli errori compiuti dall’Unione europea, soprattutto nel 2010 e su Formiche.net lo abbiamo scritto più volte. A questo punto, “vergin di servo encomio e di codardo oltraggio” dobbiamo ammettere che la responsabilità ricade prevalentemente su questo pasticciaccio di gruppettari e nazionalisti che guida Atene giocando a poker sulla pelle dei concittadini.
Giovedì scorso a piazza Syntagma si è riunita una folla che non vuole abbandonare la moneta unica. I quattro miliardi e mezzo di euro ritirati dalle banche in una settimana non sono manovre degli speculatori internazionali o dei ricchi armatori i quali già da tempo hanno piazzato i loro soldi all’estero senza che nessun governo greco di destra e di sinistra muovesse un dito. No, per lo più è gente comune che cerca di salvare se non i propri risparmi, almeno il denaro liquido per affrontare la tempesta che verrà. E non c’è dubbio verrà.
Chi corre al bancomat non pensa di star meglio con la dracma. Secondo il Fmi Grexit dimezzerebbe il valore di tutte le attività e passività greche, l’inflazione salirebbe del 35% e il pil cadrebbe di un ulteriore 8%. Quelli di Washington avranno “responsabilità criminali” come dice Varoufakis, ma i conti li sanno fare anche perché hanno visto che cosa è accaduto in Argentina o negli altri paesi che hanno infranto unioni monetarie. I greci non sono pazzi, magari vogliono difendere quel poco che resta dei vecchi privilegi, ma non è possibile che danzino allegri correndo verso l’abisso.
E Syriza? Il nocciolo duro della trattativa con la Ue non sono nemmeno le riforme o le pensioni (tutte cose che possono essere affrontate con razionalità), è che nessuno si fida di Tsipras, Varoufakis & Co., non tanto perché sono di sinistra, ma perché si sono dimostrati dilettanti allo sbaraglio (o meglio che portano allo sbaraglio i loro stessi elettori).
La Coalizione della sinistra radicale ha vinto le elezioni, ma non ha la maggioranza, e governa insieme a Anel (Greci indipendenti), un partitino di destra guidato da Panos Kammenos, ex ministro di Costas Karamanlis (era alla marina mercantile, quindi faceva da tramite con gli armatori) l’ex leader di Nuova Democrazia principale responsabile del disastro attuale (circostanza che nessuno cita gettando tutta la colpa invece sui socialisti di Papandreou, sull’economista Papademos, i moderati di Nuova Democrazia, insomma tutti quelli che hanno cercato di raccogliere i cocci).
Dunque è scorretto dire che i greci marciano uniti come i trecento di Leonida alle Termopili . Ed è possibile mobilitare la gente con la testa sulle spalle contro un gruppo di irresponsabili incapaci che dimostra di non saper governare. Oggi più che mai un referendum sull’euro potrebbe essere l’arma per ridare voce alla maggioranza espropriata e in ogni caso alla volontà popolare. Lo aveva proposto Papandreou nel 2011 convinto (a ragione) di vincerlo, ma Angela Merkel dice Nein e costrinse il primo ministro a dimettersi. Cecità politica che si spera non verrà ripetuta.
“Grexit è un processo non un evento – scrive l’Economist nel suo ultimo numero – Anche se i colloqui falliscono, anche se la Grecia fa default, anche se introduce il controllo dei capitali e il governo comincia a emettere dei pagherò perché non ci sono più euro in cassa, anche allora un referendum o un nuovo governo potrebbe ancora offrire alla Grecia una via del ritorno”.
Sarebbe ancor meglio se si arrivasse a un accordo, magari temporaneo, una soluzione ponte, come chiedono insistentemente gli americani, perché è nell’interesse politico e strategico dell’Unione europea (anche se l’asse tra Tsipras e Putin fosse un bluff, come probabilmente è). A questo punto ci sarebbe tempo per dare sostegno morale e concreto alla maggioranza finora silenziosa. Forse siamo ingenui, ma non riusciamo a credere che il popolo “al centro della politica, della legge e della libertà nel non do Occidentale” (come disse Churchill nel 1944) sia stato coartato ed espropriato da un pugno di nostalgici dell’Unione sovietica, di gauchisti da salotto e di nazionalisti che mestano nel torbido.