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Eurogruppo, i primi passi dell’ultimo sirtaki di Tsipras e Merkel

Scrive il Washington Post che “in Grecia la sfida finisce in capitolazione”. Scrive la Repubblica che “Tsipras ha vinto”. Qual è la verità? Tsiprioti e tsipriologi s’accapigliano. Naturalmente la Repubblica ha fatto uno dei suoi titoli furbetti, perché è vero che Tsipras ha ottenuto il via libera dal parlamento, quindi ha vinto anche a costo di spaccare Syriza. Fino a ieri era un mélange di Grillo e Landini, adesso diventa improvvisamente un Renzi. In realtà il voto nasconde un lato oscuro perché si può dire che Tsipras non ha più la maggioranza tradizionale, ma in compenso gode di un appoggio più largo ed è diventato un leader nazionale. Facendo sfoggio di grande bizantinismo politico, ha fatto votare no per farsi dare un mandato a dire sì.

Il referendum e la chiusura delle banche sembra abbiano già provocato un ulteriore crollo del prodotto lordo (due punti secondo stime provvisorie), il che vuol dire che Tsipras ha fatto pagare al suo popolo la propria affermazione personale. Non è il primo e non sarà l’ultimo. Ma adesso che succede?

L’Eurogruppo è cominciato con un colpo di freno da Berlino. Il ministro delle Finanze tedesco ritiene le proposte greche in sufficienti e soprattutto poco credibili, spingendo per Grexit a tempo, per 5 anni. La credibilità di Tsipras resta il punto chiave. I falchi europei che ancora storcono il naso magari fanno bene a non fidarsi delle continue capriole greche, ma debbono sapere che più di così sarà difficile ottenere. E i leader dell’eurozona hanno sparato tutte le cartucce possibili, tranne la bomba nucleare chiamata Grexit.

La Merkel e Hollande hanno giocato di sponda. La Cancelliera ha cercato di tenere al laccio i suoi falconi teutonici dalla Bundesbank a Wolfgang Schäuble. Il presidente francese ha fatto da mediatore. Il motore franco-tedesco questa volta ha dato segni di vita (era in panne se non da un decennio certo dall’inizio dell’era delle vacche magre), a costo di tagliare fuori tutti gli altri a cominciare da Jean-Claude Juncker il quale, eletto dal parlamento europeo, avrebbe dovuto condurre lui la trattativa, affiancato da Mario Draghi.

Quanto a Matteo Renzi che ha manifestato il suo disappunto, non ha mai avuto voce in capitolo; lui lo sa e le rimostranze sono fatte ad uso dei media (come troppe volte soprattutto da quando ha perso slancio). Il capo del governo italiano, infatti, s’è messo sotto le ali di Draghi e poi è corso ad assicurare la Merkel che lui non avrebbe dato spago a Tsipras.

Il presidente della Bce che gioco ha giocato? Bloccando l’Ela, la liquidità d’emergenza, a 89 miliardi, non ha essiccato le banche greche, ma le ha messe di fronte alla realtà: la crisi ora è diventata una crisi bancaria. Ha assunto molte maschere in questi anni, adesso al centro non c’’è più soltanto il debito sovrano ormai nelle mani dei governi, ma la capacità del sistema bancario greco di finanziare l’economia e fare il proprio mestiere. Così, Draghi ha costretto il governo di Atene ad assumersi le proprie responsabilità. Tsipras ha chiuso le banche, ha messo un cordone sanitario attorno ai movimenti dei capitali, ha razionato i contanti. Quasi una economia di guerra.

Il referendum è stato una carota, ma il bastone è caduto pesante sull’ala più radicale della sinistra radicale (c’è sempre nella storia una sinistra più a sinistra di ogni altra sinistra). Yanis Varoufakis è, da questo punto di vista, il più grande sconfitto anche se la sua abilità e la micidiale macchina mediatica ha trasformato un oscuro professorino, emigrato, transfuga o girovago se volete, in una star. Giornali, tv, università, i persuasori occulti delle classi dominanti, non aspettano altro che mostrare al mondo la nuova donna barbuta.

La politica è implacabile, ancor più quando la realtà è già di per sé crudele. Lo ha scoperto anche Christine Lagarde la signora del Fondo monetario internazionale che sta tra i perdenti in questo scontro senza prigionieri. Ha tenuto duro ancor più della Merkel, però ha fatto trapelare uno studio secondo il quale il debito greco è insostenibile e va ristrutturato. Tanto valeva che gettasse sul tavolo una proposta concreta sul debito: avrebbe spiazzato Tsipras costringendolo a scegliere se salvare gli albergatori delle Cicladi o giocare una partita di più lungo periodo e mettere in sicurezza il proprio paese. Perché così come si configura, il compromesso ancora una volta sposta il problema nel tempo senza incidere davvero il bubbone.

Credere che con l’aumento delle tasse indirette e altri tagli si risani il bilancio in un Paese dove l’anno scorso due terzi dei contribuenti non ha presentato la dichiarazione dei redditi e la riduzione delle spese viene regolarmente aggirata, è una mera finzione. Il problema del debito resta come una spada di Damocle sulla testa dell’euro. E non riguarda solo la Grecia, naturalmente, è un problema dell’intera unione monetaria. Prima verrà affrontato meglio sarà per tutti.



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