“Se la Grecia dovesse lasciare la zona euro, sarebbe una catastrofe per il Paese su tutti i fronti: economico, politico e sociale. È probabile che si innescherà una crisi senza pari”. Ad affermarlo è Photis Lysandrou, professore di economia politica presso la City Univeristy London e autore del paper: “I tre miti dietro il caso Grexit : un’analisi distruttiva”.
L’ANALISI DISTRUTTIVA DI LYSANDROU
“Tutte le opzioni che si prospettano per la Grecia sono un male per il Paese – spiega Lysandrou – ma l’abbandono dell’euro e il ripristino della dracma è di gran lunga il male peggiore: sarebbe un disastro. Come suggeriscono le prove storiche, sarebbe estremamente pericoloso, prendersi un così alto rischio potrebbe portare a un’inflazione violenta e mettere in ginocchio i più poveri della società – la stessa gente che il partito Syriza cerca di proteggere. Lasciare l’euro esporrebbe il Paese a pressioni finanziarie e vincoli ancora più duri, riducendo l’autonomia greca, contrariamente ai miti di Syriza. Un secondo grande malinteso è che l’uscita servirebbe a rafforzare la competitività del commercio internazionale. E il terzo è che la Grexit migliorerebbe la solidarietà tra le forze progressiste della Grecia e di altri Paesi europei”.
LE MENZOGNE DI SYRIZA
Accettare i termini imposti dalla Troika e tenersi l’euro, oppure rifiutarli e lasciare l’Eurozona? “Questo è il dilemma di Tsipras – scrive Lysandrou – Entrambe le opzioni non piacciono a Syryza ma non c’è accordo su quale sia la peggiore. Il governo eletto a gennaio 2015 non può mantenere la doppia promessa elettorale di porre fine all’austerity e restare nell’euro. L’ala di estrema sinistra di Syriza opta per l’uscita dall’euro con il 30% dei consensi e basa questa convinzione su tre assunzioni: che la dracma renderebbe la Grecia più competitiva dal punto di vista del commercio internazionale, che darebbe al governo maggiori spazi di manovra e autonomia, che porrebbe la Grecia al centro della solidarietà internazionale”.
DESTRA E SINISTRA SULLA STESSA BARCA
“Come noto le prime due argomentazioni – scrive il professore – non sono un’esclusiva della sinistra ma sono al centro della propaganda di destra, da Alba Dorata in Grecia al Fronte Nazionale francese. Con la differenza che la destra invoca gli interessi personali e non la solidarietà internazionale. Il problema è che si tratta di argomentazioni semplicemente sbagliate”.
LA PROSPETTIVA GLOBALE
E vediamo perché partendo da una visione globale. “Le caratteristiche dell’economia sono la globalizzazione e la finanziarizzazione – continua Lysandrou – nel 1998 gli scambi sul forex ammontavano a 1,5 trilioni di dollari, oggi hanno superato i 6 trilioni. Di questo ammontare solo l’1-1,5% ha connessioni con lo scambio cross border di beni e servizi, il resto è legato a scambi di titoli. E solo quattro valute, il dollaro Usa in testa, fanno il 155% del 200% degli scambi giornalieri. Un Paese è tanto più pensate quanto più contribuisce al mercato dei titoli: nel caso degli Usa, l’enorme stock di titoli dietro al dollaro funge da cuscinetto in caso di choc valutari. Questo spiega perché le monete piccole che subiscono in maniera amplificata le crisi usano il peg con le valute forti: 66 con il dollar, e 27 con l’euro. E spiega anche perché, dopo la crisi asiatica del 199, nel 1998 14 dei 15 Stati membri dell’Ue furono invitati a entrare nell’euro (tutti meno la Grecia): perché l’esigenza di creare una masa monetaria importante era diventata prioritaria dopo quello choc”.
LA PROSPETTIVA EUROPEA
Una precondizione per una strategia europea alternativa è l’investimento pubblico in infrastrutture, welfare e progetti che generino posti di lavoro. “Ma dopo i danni fatti ai bilanci degli Stati dai bailout bancari e altre misure di emergenza – spiega il professore – una priorità dovrebbe essere l’armonizzazione fiscale. Che oggi non esiste: perché gli Stati non vogliono cedere sovranità sul controllo delle tasse e poi c’è una questione ideologica in base alla quale per ogni argomentazione a favore dell’armonizzazione ce n’è una a valore della competizione fiscale”.
COSA INSEGNANO IRLANDA E CIPRO
I casi di Irlanda e Cipro sono emblematici: la prima ha una tassazione sulle imprese del 12,5% e la seconda del 10% contro una media europea del 25%. “Quando la Francia ha ipotizzato per l’Irlanda un aumento della tassazione, a Dublino sono soffiati venti di protesta e la reazione di Sinn Fein, il partito anti-austerity ha avuto la reazione classica: siamo una piccola economia isolata e abbiamo bisogno di una tassazione fiscale favorevole per attrarre investimenti esteri”. Una situazione simile vive Cipro che a partire dal 2010 vede il 75% della sua popolazione impiegata nella finanza: una trasformazione da un economia basta su turismo e agricoltura ottenuta grazie a una riduzione importante delle tasse. “Il Paese – continua Lysandrou – è stata sempre una meta privilegiata per i miliardari russi: quando il governo Akel prese il potere nel 2008 gli fu chiesto se non si sentisse in imbarazzo, da sinistra, a favorire così smaccatamente gli oligarchi a scapito del popolo. La risposta fu la stessa: siamo una piccola economia isolata, dobbiamo proteggerci. E se non offriamo noi questi benefit ai russi lo farà qualcun altro. Questi Paesi avrebbero la solidarietà europea se fossero fuori dall’euro? La risposta è no. E lo stesso vale su piani diversi per la Grecia”, che almeno dal punto di vista della tassazione sulle imprese è in media con l’Ue.
LA PROSPETTIVA LOCALE
Se la Grecia tornasse alla dracma e legasse la valuta all’euro, sarebbe in grado di essere competitiva e rafforzare la propria economia? Lysandrou ritiene di no. “Ipotizziamo – dice – che la dracma abbia un cambio fisso a 500 con l’euro, la Grecia sarebbe in grado di conservare questo tasso nel tempo ed evitare una spirale di deprezzamento/inflazione? La storia risponde di no. Tra il 1978 e il 2001, il cambio dracma/ecu (il predecessore dell’euro) è crollato da 46,8 a 340, arrivando a un ottavo di quello di partenza e con un’inflazione mediamente dell’1,5-2% superiore alla media europea”. Inflazione che dipendeva dai problemi dell’economia greca e che si rifletteva nella bilancia commerciale. “L’import ha sempre superato di molto l’export, fino al 2014 quando si è raggiunto il bilancio determinato dalla severa riduzione delle importazioni a causa della crisi. E ci sono poche possibilità che il Paese possa aumentare l’export o aumentare la produzione per diminuire l’import in breve tempo così da garantire il peg a 500 tra euro e dracma. Qui il problema è di carenza di produzione, non basta dunque essere competitivi con una moneta debole per risolverlo”. Nemmeno se ci si basa sui due punti di forza dell’economia greca, ovvero trasporto navale e turismo.
SHIPPING E TURISMO NON BASTANO
“La flotta mercantile greca è la più grande del mondo e realizza il 16% del commercio mercantile globale ma come cresce velocemente in periodi floridi, crolla fortemente quando c’è recessione – continua Lysandrou – Inoltre solo il 21% degli armatori ha la sede fiscale in Grecia, avendola gli altri spostato all’estero. Eppure questo 21% ha indubbi vantaggi: esenzione da tutte le tasse escluso quella sulla stazza, nessun controllo sui profitti e soglie minime ridicole sul numero di dipendenti (solo 4) e di deposito in Grecia (100mila euro). L’impatto sul Paese è davvero poca cosa. E cambiare le regole provocherebbe solo una fuga verso sedi fiscali più favorevoli”.
E il turismo? Nel 2013 sono arrivate nel paese 16,4 milioni di persone (una volta e mezzo la popolazione greca) il che implica una quantità di import di cibo e medicine enorme. Non solo. “La parte del leone degli arrivi la fanno Germania e Regno Unito e il mondo occidentale è disposto a spendere di più per avere qualità, qualità che sta calando anno dopo anno. La Grecia non compete con la Spagna, è pari alla Croatia e vince sulla Turchia. Ma se fa la guerra con la Turchia, che non sta nell’euro e può giocare al ribasso, trasforma la sua offerta in turismo di massa di bassa lega. Senza considerare che le tensioni sociali legate al ritorno della vecchia moneta causerebbero una diminuzione generale degli arrivi”.
ULTIMA SPIAGGIA PER TSIPRAS
“Bisogna agire sotto una prospettiva ampia e globale – prospettiva che viene attualmente ignorata dai soggetti all’interno di questo governo greco, ora anche diviso. Gli ultimi tre decenni ci mostrano che esistono profondi problemi strutturali nell’economia del paese, quasi totalmente dipendente dalle importazioni”. E non ci saranno, giura il professore, altre opportunità.