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Bcc, ecco la corsa popolare (non solo della Banca di Bologna)

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’intervista di Manuel Follis apparsa su MF/Milano Finanza, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

La Banca di Bologna vuole trasformarsi in popolare. Per crescere. Si tratta del primo istituto di credito cooperativo (la Banca di Bologna è una Bcc) a fare questa richiesta, inoltrata in maggio alla Banca d’Italia, e la motivazione di questa volontà è legata ai vincoli che gravano sul modello di banca di credito cooperativo quanto a raccolta del capitale di rischio.

La notizia sembra rientrare nel solco del trend rivelato da MF-Milano Finanza, con i vertici di Assopopolari che a settembre potrebbero esaminare una quindicina di domande di ammissione da parte di alcune Bcc. In realtà, si tratterebbe di una trasformazione a metà. «È più un’evoluzione verso il modello di banca popolare, in quanto la natura giuridica rimane quella di cooperativa, spiega a MF-Milano Finanza Enzo Mengoli, direttore generale dell’istituto. In sostanza quello che cambierà sarà solo l’aspetto legato alla mutualità, che da prevalente passerà a non prevalente.

Rimane il tema delle riserve indivisibili: «Ho letto in questi mesi che esponenti di Federcasse sostengono che in caso di trasformazione le riserve indivisibili dovrebbero essere in ogni caso devolute ai fondi mutualistici. A me sembra una posizione strumentale in quanto significherebbe l’arresto dell’attività per mancanza di risorse, e quindi di fatto l’impossibilità di trasformarsi per chiunque», spiega Mengoli. Proseguendo, il dg spiega: «Siamo in presenza di regole sempre più stringenti per il capitale delle banche e il continuo innalzamento dei requisiti patrimoniali comporta la necessità di avere capitali sempre maggiori». Il problema sono i vincoli esistenti, che limitano la crescita della banca. «Questi vincoli condizionano la nostra possibilità di sviluppo e di conseguenza la capacità competitiva del nostro istituto», continua il dg. La palla adesso però è nelle mani della Banca d’Italia.

«Noi siamo fiduciosi di un esito favorevole e siamo supportati da autorevoli pareri in questo senso», commenta Mengoli, che poi amplia il discorso al sistema ricordando come sia in corso «una complessiva revisione dell’attuale assetto del credito cooperativo. E in tale contesto, quelli che fino ad oggi sono apparsi come vincoli alla libertà d’impresa, ritengo verranno superati». Dopo il varo della riforma delle banche popolari è infatti attualmente in discussione una riforma del credito cooperativo (che potrebbe vedere la luce entro l’anno). «La nostra banca non aderisce storicamente a Federcasse e di conseguenza si sente estranea e non rappresentata dagli organi di vertice, ma credo che governo e Banca d’Italia facciano bene a ripensare il modello di credito cooperativo in Italia», spiega il dg. Resta il fatto che «noi abbiamo rapporti con il Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo», ma si tratta di un rapporto obbligato. «Siamo costretti ad aderire, in palese contrasto con quanto stabilito dall’ordinamento comunitario sui fondi».

Il riferimento è alla direttiva 2014/49 che riconosce il diritto di un ente creditizio di passare da un fondo di garanzia dei depositi a un altro, una norma che «ritengo che dovrà presto essere recepita», aggiunge Mengoli. Al momento l’ipotesi allo studio per la riforma riguarda un decreto legge che dovrebbe istituire una o più holding che fungano da aggregatori delle Bcc. «Oltre a Iccrea, mi sembra che ci sia un altro soggetto in Italia già strutturato per fare la holding, che è Cassa Centrale Banca», dice Mengoli che ipotizza una riforma la quale istituisca il modello di holding, ma solo su base volontaria da entrambe le parti. «L’obbligatorietà potrebbe forse essere prevista per chi vuole mantenere la forma di banca di credito cooperativo, consentendo alle banche che non vogliono aderire di trasformarsi, nel rispetto di quanto costituzionalmente previsto riguardo alla libertà di iniziativa economica privata».



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