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Vi spiego le strategie di Obama contro il climate change

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Lo scorso novembre Obama e Xi Jinping si sono incontrati nella Grande sala del popolo a Pechino e hanno scritto la storia. I leader delle due economie più grandi al mondo e dei due Paesi con i più alti livelli di emissioni di gas a effetto serra hanno annunciato i loro piani congiunti per combattere il cambiamento climatico, sorprendendo così l’intera comunità mondiale.

Per la prima volta la Cina si è impegnata in questo ambito, individuando dati specifici di picco delle emissioni ammissibili e mostrando il proprio impegno nel produrre sempre più energia pulita rispetto agli attuali livelli di produzione delle centrali a carbone. Il presidente Obama, da parte sua, ha annunciato passi avanti nella lotta al cambiamento climatico, avendo come obiettivo, entro il 2025, la riduzione delle emissioni del 26-28% rispetto ai livelli del 2005. Il 31 marzo scorso gli Stati Uniti hanno dato seguito alle promesse sottoscrivendo ufficialmente il target ambientale o, come si usa nel gergo dei negoziati internazionali sul clima (Unfccc), il “previsto contributo determinato a livello nazionale”.

Con la sottoscrizione degli Usa, i Paesi che hanno annunciato misure concrete da attuare dopo il 2020 rappresentano più della metà dei responsabili dell’inquinamento di carbonio proveniente dal settore energetico. Tra questi rientra anche il Messico, nostro partner economico e primo Paese in via di sviluppo a sottoscrivere il proprio target ambientale alle Nazioni Unite, con la previsione di ambiziosi tagli alle emissioni di gas a effetto serra entro il 2026. Le sfide globali richiedono soluzioni globali.

Il cambiamento climatico è reale e determinato da attività umane; nessun Paese può pensare di risolverlo da solo. Il target statunitense è molto alto, ma raggiungibile. Abbiamo tutti i mezzi necessari per farlo. Alcune leggi già esistenti permetteranno di realizzare misure efficaci tese a raddoppiare il ritmo al quale stiamo attualmente riducendo l’inquinamento di carbonio. Ma nell’atto pratico, cosa significa tutto questo? Come sottolineato alle Nazioni Unite, ci sono molte politiche già messe in atto per raggiungere gli obiettivi climatici. Tra queste rientrano gli storici standard economici del presidente per i combustibili di auto, camion e veicoli pesanti; le misure di efficienza energetica per gli edifici e gli elettrodomestici; i programmi per la riduzione delle sostanze altamente inquinanti come il carburo di afnio (Hfc), che ha un potenziale inquinante 10mila volte superiore a quello del biossido di carbonio. Abbiamo anche messo in evidenza i settori e gli strumenti che permetteranno di ridurre ulteriormente le emissioni di gas a effetto serra come le norme per limitare le emissioni di metano nel settore petrolifero e del gas e il Clean power plan dell’Agenzia per la protezione ambientale (Epa), in base al quale si potrà bloccare l’inquinamento di carbonio dalle centrali elettriche, la più grande fonte di emissioni degli Stati Uniti.

Queste politiche determinano grandi benefici per il popolo americano. Con gli standard economici per i combustibili, le auto potranno percorrere il doppio della distanza percorsa oggi con un litro di gas. Data la maggiore efficienza e i prezzi più bassi, quest’anno i guidatori americani risparmieranno alla pompa di benzina una media di 750 dollari. Per quanto riguarda il Clean power plan, una volta che verrà completamente implementato, ridurrà annualmente fino a 6.600 morti premature e 150mila attacchi d’asma tra i giovani.

La cosa interessante è che, allo stesso tempo, possiamo affrontare il cambiamento climatico e far crescere economia e posti di lavoro. Negli ultimi otto anni abbiamo diminuito l’inquinamento da carbonio più di ogni altro Paese e siamo usciti fuori da una delle peggiori crisi economiche dopo la Grande depressione, creando più di 12 milioni di posti di lavoro. Da quando quarant’anni fa è stata fondata l’Agenzia per la protezione ambientale, abbiamo ridotto l’inquinamento atmosferico del 70%, mentre il nostro Pil è triplicato.

Per più di quattro decadi l’inquinamento è cresciuto insieme al Pil. Le riduzioni delle emissioni di carbonio, in genere, sono state associate ai periodi di debolezza economica. Questo fino allo scorso anno. In uno storico, ma sottovalutato cambiamento, l’inquinamento da carbonio proveniente dal settore energetico è rimasto stabile, nonostante l’economia globale sia cresciuta del 3%. È evidente quindi che abbiamo tutti gli strumenti per affrontare il cambiamento climatico a testa alta. L’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) ha attribuito l’appiattimento dell’inquinamento da carbonio registrato lo scorso anno alle nuove politiche messe in atto in Cina, Ue e Stati Uniti. Un elemento centrale nell’azione climatica è rappresentato dall’energia pulita.

Durante la presidenza Obama, gli Stati Uniti hanno triplicato la quantità di energia eolica e hanno fatto crescere la generazione solare di circa dieci volte. L’energia rinnovabile sta diventando sempre più accessibile. Il costo del solare sta calando molto rapidamente e siamo sulla giusta strada per raggiungere un obiettivo centrale dell’iniziativa SunShot: ridurre del 6% il costo totale di installazione dei sistemi energetici solari entro il 2020. Oltre a essere un momento storico di ambizioni condivise, l’accordo tra Stati Uniti e Cina dello scorso novembre è stato un segnale molto importante per queste tecnologie pulite. I due Paesi con i più alti livelli di consumo energetico, infatti, continueranno a investire molto in soluzioni energetiche a livelli di carbonio bassi, se non nulli. Con Obama gli Stati Uniti stanno facendo la loro parte per affrontare la sfida del cambiamento climatico.

È tempo anche per gli altri Paesi di fare quello che Usa, Messico e i membri Ue hanno fatto, sottoscrivendo tempestivamente presso l’Unfccc target ambientali trasparenti, misurabili e, soprattutto, ambiziosi. In attesa dell’accordo di Parigi il presidente Obama valuterà tutte le opportunità per implementare la lotta al cambiamento climatico sia a livello nazionale sia internazionale. La nostra prospettiva per il prossimo dicembre è quella di un accordo globale per il clima che vada oltre Parigi 2015.

 Traduzione di Valeria Serpentini

(articolo pubblicato sulla rivista Formiche)


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