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Ecco verità e frottole su Italcementi-Heidelberg

All’indomani della fusione tra Italcementi e la tedesca Heidelberg il mercato ha brindato a un’operazione di sicuro successo grazie alle ottime sinergie, a un prezzo di acquisto giusto e alla dimensione della nuova società del cemento: oggi seconda solo a Holcim-Lafarge.

L’operazione ha avuto come advisor Mediobanca e Morgan Stanley ed è stata seguita dallo studio legale Gattai Minoli Agostinelli & Partners, fondato nel novembre 2012 e già noto per aver seguito nella sua giovane vita alcune tra le più importanti operazioni svolte in Italia tra cui l’assistenza a Versace nella cessione del 20% a Blackstone, l’assistenza a Clessidra nell’acquisizione di Roberto Cavalli e l’assistenza a Italmobiliare nella cessione del 45% di Italcementi. Lo studio ha inoltre seguito Cerved, Teamsystem, Arredoplast, FAAC, Giochi Preziosi nonché le ristrutturazioni finanziarie dell’Inter e della Roma.

UNA FAMIGLIA ILLUMINATA

Mentre il mercato brindava, però, pochi osservatori però hanno sottolineato un altro valore insito in questo M&A e cioè che “poco prevedibile e abbastanza inusuale, una famiglia di imprenditori che solo l’anno scorso aveva festeggiato i 150 anni nascita dell’azienda riuscisse a rinunciare alla posizione di controllo in favore delle prospettive”. A dirlo a formiche.net è una fonte vicina al dossier che preferisce rimanere anonima. I Pesenti ha fatto un’azione di profonda rottura, insomma, in un ambiente, quello italiano, in cui il caso di scuola è di famiglie che non mollano la prosa sulle proprie aziende anche a rischio di provocarne la morte. Solo l’ultimo di questi esempi ha riguardato poco più di un mese fa Bormioli Rocco, controllata dal fondo Vision Capital che la aveva ritirata dalle banche sull’orlo del fallimento e che a giugno ha venduto la divisione food&beverage alla svizzera Vetropack Holding.
“Credo – continua la fonte – che l’aspetto importante che non è sempre stato colto è che è vero che Italcementi viene venduta a tedeschi ma nel contempo Italmobiliare acquista e diventa il secondo gruppo mondiale del cemento. Insomma i Pesenti ci hanno visto lungo”.

CAMPO DA GIOCO, IL MONDO
Quando la partita del business si gioca in un contesto globale è giocoforza che la fusione del leader di mercato sia l’unica strada. E l’evento scatenante del consolidamento ora compiuto è stata la fusione, entrata nella fase finale a giugno, tra la svizzera Holcim e la francese Lafarge. “Le due hanno dato a un gigante dotato di economie di scala importantissime e di una dimensione doppia rispetto agli inseguitori. Il settore del cemento è un settore in cui più che l’innovazione contano i grandi numeri, il prodotto è lo stesso da 200 anni. Oggi Heidelberg su Italcementi dà vita a un competitor di dimensioni paragonabili al leader del mercato, con il terzo a grande distanza. E per creare un ulteriore gruppo di simile grandezza, dovrebbero aggregarsi in cinque o sei”.

PROBLEMA OCCUPAZIONE? UN FALSO
La maggior preoccupazione di chi difende il lavoro in questi giorni riguarda i molti dipendenti italiani di Italcementi. Sono davvero a rischio? No, se si osserva la specificità del mercato del cemento che non è un prodotto facilmente trasportabile. “Anche secondo la Commissione Antitrust il mercato della cementiera è 200 km intorno, è un mercato locale – continua l’esperto al corrente del dossier – sarebbe assurdo che Heidelberg avesse comprato una quota importante di Italcementi per chiudere gli stabilimenti italiani e trasportare in Italia il cemento dalla Germania: non sarebbe conveniente”. Le uniche zone di sovrapposizione sono il Belgio e in parte gli Usa dove sarà l’Antitrust a imporre eventuali vendite. Ma per l’Italia – dice l’addetto ai lavori che ha seguito l’operazione – questa è fusione è neutra dal punto di vista occupazionale: le uniche posizioni a rischio sono quelle funzionali, la finanza di Italcementi era già basata a Parigi e potrebbe diventare tedesca o Heidelberg potrebbe spostare la propria nella capitale francese, ma i 19500 dipendenti su 20mila che sono nelle unità produttive possono dormire sonni tranquilli.

M&A DI NUOVO IN FERMENTO
E c’è chi ha già osservato che fusioni e acquisizioni siano in ripresa nonostante la crisi che non molla la presa. Un report di Equita lo ha scritto qualche giorno fa: “La decisione della famiglia Pesenti di cedere il controllo alimenta ‘appeal speculativo su una serie di aziende a controllo famigliare e di medie dimensioni, possibili target di M&A. Tra le più significative citiamo: Amplifon, Ferragamo, Saras, Campari, Diasorin, Piaggio, De Longhi, Tod’s, Recordati, Danieli, Ima”.

MODA, FOOD, ENERGIA E BANCHE PRONTE AL CONSOLIDAMENTO
E nel settore industriale l’Italia ha certamente da sempre eccellenze, non campioni nazionali, ma medie realtà con fatturato tra i 200 e i 400 milioni, che hanno mercato perché sono facilmente vendibili e risultano, appetibili per gli investitori soprattutto stranieri. “Le aziende italiane sono prevalentemente familiari con problemi di passaggi generazionali e sono opportunità straordinarie di vendita all’estero. Anche i private equity guardano tantissimo all’Italia”. E tra i settori oltre all’industria, spiccano quelli tipici di moda, lusso e food. Ma anche l’energy che va riorganizzandosi soprattutto sulle rinnovabili. Consolidamento in vista, infine – ed è probabilmente il più prossimo – per le banche Popolari.

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