Matteo Renzi, diavolo di un uomo, riuscirà probabilmente ad ottenere dal Papa ciò che non sono riusciti ad avere il Segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin e il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Angelo Bagnasco: il ridimensionamento del segretario generale della stessa Conferenza episcopale, cioè il monsignore Nunzio Galantino. Che, in verità, prima ancora di sfidare pubblicamente non questo o quell’esponente politico, ma l’intero governo italiano, accusato di fare poco o niente a favore degli immigrati, zoppicava alquanto nello stesso nome: poco nunzio, parlando troppo in libertà rispetto alle gerarchie superiori, e poco galante. Galantino, appunto.
Il Papa, secondo quanto scrive Luigi Bisignani sul Tempo raccogliendo voci fra le tonache, avrebbe deciso di chiamarlo per spiegargli a modo suo, cioè con la franchezza che gli è abituale, che il troppo stroppia. Anche quando il troppo deriva dalla presunzione di interpretare genuinamente proprio il pensiero, o addirittura il cuore del Pontefice.
Il presidente del Consiglio potrà perdere qualcosa nell’ennesimo scontro ingaggiato con la minoranza del suo partito e con le opposizioni sulla controversa riforma del Senato, ma con Galantino l’ha spuntata. E senza neppure esporsi, in verità, più di tanto.
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L’ex ma in fondo ancora radicale Roberto Giachetti, vice presidente della Camera in conto al Pd, il più renziano forse dei renziani, fra i quali si scorge ogni tanto qualche insofferenza per la facilità con la quale egli riesce a guadagnarsi i titoli dei giornali, condivide probabilmente l’opinione di Sergio Soave. Il quale è convinto che Matteo Renzi e Silvio Berlusconi siano praticamente condannati dai loro comuni, numerosi e forti nemici a rimettersi in qualche modo d’accordo. Magari, con un patto da stringere in qualche località diversa dalla sede del Pd di Largo del Nazareno, vista la poca fortuna di quello raggiunto lì l’anno scorso, in vista della clamorosa e dura staffetta a Palazzo Chigi fra Enrico Letta e lo stesso Renzi.
Dalle colonne della Stampa Giachetti ha proposto al presidente del Consiglio di spiazzare tutti e di concedere a Berlusconi la modifica della legge elettorale chiamata Italicum e riguardante per ora solo la Camera. Renzi dovrebbe concedere a Berlusconi il premio di maggioranza, per l’eventuale ballottaggio, non più alla lista ma alla coalizione. Che al leader di Forza Italia potrebbe convenire per accordarsi meglio con la troppo esuberante Lega di Matteo Salvini. Ma Berlusconi, a sua volta, dovrebbe concedere a Renzi l’applicazione dell’Italicum anche al Senato, che pertanto dovrebbe tornare ad essere elettivo, non eletto dai o nei Consigli regionali, come vorrebbe la riforma all’esame della competente commissione di Palazzo Madama.
Tutto questo presuppone, a occhio e croce, le elezioni anticipate. Che consentirebbero a Renzi un regolamento dei conti nel suo partito, ma negherebbero a Berlusconi il tempo che gli occorre per ricostruire una coalizione di centrodestra. Resta però da verificare la disponibilità del presidente della Repubblica a sciogliere anticipatamente il Parlamento, a bicameralismo -a quel punto- invariato, o quasi.
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Le elezioni anticipate determinerebbero anche l’esplosione dei contrasti fra i cosiddetti centristi, vecchi come quelli di Pier Ferdinando Casini e nuovi come i fuorusciti da Forza Italia, anch’essi a loro volta vecchi, come Angelino Alfano, e nuovi come Raffaele Fitto o Denis Verdini, da non confondere però l’uno con l’altro.
Già questa rappresentazione dei cosiddetti centristi dà l’idea delle difficoltà della loro area. Dove sta tuttavia crescendo l’insofferenza per Berlusconi, considerato troppo accomodante con la Lega, e la tentazione di contribuire al cosiddetto Partito della Nazione di Renzi, presupponendo una scissione ulteriore del Pd a sinistra. Indicativo a questo proposito è il ragionamento fatto a ItaliaOggi da Marco Taradash, radicale come Giachetti ma ora accasato nel partito di Alfano.