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Brasile, tutti i guai di Dilma Rousseff

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Sono scesi in piazza contemporaneamente in più di 200 città per protestare e chiedere le dimissioni del presidente della repubblica. Dopo la svalutazione a ripetizione dello yuan cinese, il pil in calo del 4,6% nel secondo trimestre in Russia, un altro paese dei Bric naviga tra crisi politica e recessione. Dilma Rousseff, rieletta lo scorso novembre di misura per un secondo mandato come capo del governo del Brasile, vanta un record davvero difficile da battere. Il suo quoziente di popolarità è sceso all’8%, il più basso di sempre nel paese, e da inizio anno circa 3 milioni di brasiliani sono scesi in piazza per chiedere un cambio. Le inchieste della magistratura sulla corruzione in Petrobras, la società petrolifera del governo, sono la benzina che ha infiammato la protesta che già bruciava da tempo soprattutto nell’elettorato tradizionalmente di riferimento del partito dei lavoratori della Rousseff: il ceto medio e salariato delle grandi metropoli brasiliane.

C’è il rischio di una affermazione politica di movimenti innovativi tipo Podemos o il M5s anche nella società brasiliana con i suoi 204 milioni di abitanti? La fase economica in corso negli ex Bric, economie un tempo ad elevata capacità di crescita del pil, obbliga a una riflessione meno tradizionale anche rispetto alla tenuta del loro quadro politico. L’inflazione annua in Brasile è del 9% e il pil 2015 dovrebbe conoscere la peggiore contrazione degli ultimi vent’anni. Secondo gli analisti di FocusEconomics, una società indipendente di analisi economica, la ricchezza brasiliana si contrarrà dell’1,7% quest’anno e crescerà solo dello 0,3% nel 2016. Con questi numeri la decrescita media carioca nel triennio 2014-16 sarebbe pari allo 0,45%.

Numeri da far tremare i polsi a un paese con una demografia giovanile molto diversa da quella europea: tanto è vero che il Pil per capita, cioè la ricchezza per abitante, è in calo continuo da cinque anni essendo passata dai 13.240 dollari del 2011 agli 11.567 del 2014 e scenderà ancora quest’anno e nel 2016. Il Brasile guidato dalle politiche di sinistra della Rousseff si impoverisce e non cresce, perché il mercato rimane eccessivamente protetto dalla competizione internazionale, eccessivamente regolamentato e tassato da una burocrazia peraltro molto corrotta e con un mercato del lavoro poco dinamico.

Il caso Brasile insegna che la strada della crescita è, oggi, per le economie ormai emerse molto meno semplice e scontata di quanto non lasciasse immaginare qualche anno fa la letteratura da convegno e pro banche d’affari sui Bric. Il socialismo senza alcuna originalità della ex guerrigliera Rousseff non appare la risposta giusta e le piazze brasiliane lo testimoniano senza dubbi di sorta.

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