Una celebre frase recitava “Nulla mi turba, sono uno scienziato”, ma l’assenza di turbamento per i ricercatori sembra essere una prerogativa del passato. I ‘processi alla scienza’, dal caso dell’Aquila alla sperimentazione animale, campeggiano sui media e dominano il dibattito pubblico, talvolta a sostegno di una pericolosa delegittimazione. In questa nebulosa mediatica, le ragioni della ricerca rimangono spesso intrappolate tra i grovigli della politica e della magistratura, si scontrano con l’ignoranza diffusa e si contaminano a causa del complesso dialogo tra interlocutori molto diversi.
IL CASO XYLELLA
È quanto accaduto anche per il caso ‘Xylella’, batterio patogeno appartenente alla famiglia delle ‘Xanthomonadaceae’, noto al grande pubblico per i suoi effetti devastanti sugli ulivi secolari del Salento. In realtà, dire ‘Xylella’ non basta, gli esperti del settore sanno che la specie Xylella fastidiosa si caratterizza per un’elevata variabilità genetica e fenotipica classificabile in almeno quattro sottospecie: fastidiosa, sandyi, multiplex e pauca.
LE SPECIFICITÀ
A complicare il quadro, tali varianti mostrano spesso una specificità verso la pianta che infettano. La ‘X. fastidiosa fastidiosa’, ad esempio, è la principale responsabile della malattia di Pierce, che colpisce la vite e contro cui gli Stati Uniti convivono e combattono da oltre 130 anni. La ‘sandyi’ e la ‘multiplex’ colpiscono oleandro o mandorlo.
SMONTIAMO LE ACCUSE
Diversamente, ma pochi lo sanno, quella rilevata sugli ulivi pugliesi è la sottospecie ‘pauca’, in particolare un ceppo di nuova identificazione denominato ‘CoDiro’.
Diverse prove, sia sperimentali sia in condizioni naturali, evidenziano che la sottospecie ‘pauca’ non è in grado di infettare la vite. Pur essendo accreditata l’ipotesi che il batterio si sia diffuso nel nostro Paese attraverso l’importazione di piante ornamentali dall’America Centrale, considerate un importante “serbatoio di inoculo”, si smonta quindi l’accusa rivolta ai ricercatori di aver contribuito all’immissione e alla conseguente diffusione in Italia del ceppo batterico della Xylella attraverso l’introduzione, durante un workshop a Bari, di campioni di di vite infetta.
Un’ipotesi incompatibile con la realtà dei fatti scientifici, poiché trattasi di subspecie diverse.
IL PROCESSO ALLA SCIENZA
Questa sorta di ‘processo alla scienza’ ha fatto vacillare la credibilità della ricerca italiana ancora una volta e con essa quella dei ricercatori baresi coinvolti, additati come presunti untori e costretti a difendersi da pesanti pressioni mediatiche e non. Le dimostrazioni di solidarietà portate dalla comunità scientifica mondiale nei confronti dei colleghi accusati attestano come la tesi sia un controsenso, considerato che gli stessi ricercatori da oltre due anni stanno lavorando per individuare le strategie migliori per affrontare l’emergenza.
LE POTENZIALITÀ DISTRUTTIVE
Il tempo intanto stringe e l’epidemia che ha colpito gli ulivi del Salento ha potenzialità distruttive enormi. “Non esiste cura, ma una possibile strategia per mantenere sotto controllo l’emergenza potrebbe essere quella di orientare la ricerca puntando sulla biodiversità genetica degli ulivi”, asserisce Donato Boscia, dell’Istituto per la protezione sostenibile delle piante (Ipsp) del Cnr. “Da un’indagine preliminare sappiamo dell’esistenza di cultivar che mostrano una promettente tolleranza all’infezione; è un’indicazione che fa ritenere urgente e opportuna l’effettuazione di uno screening, con la concreta speranza di individuare un germoplasma resistente, che potrebbe divenire un mezzo sostenibile per la sopravvivenza dell’olivicoltura nelle aree di insediamento del batterio”.
Articolo pubblicato nell’ultimo Almanacco della Scienza a cura dell’Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche
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