Se Michele Arnese me lo concede, per una volta non parlerò delle comiche romane, del “rosicone” D’Alema, delle “ansie da prestazione” di Renzi e del ministro Poletti (per i quali i numeri del mercato del lavoro sono un’opinione), delle “deportazioni” degli insegnanti dal Sud al Nord, delle carneficine dei migranti e delle lacrime di coccodrillo dei governanti europei, delle Borse che salgono e scendono, degli stracci che volano nel Pd: insomma, del museo degli orrori che è diventato il Paese di Michelangelo e Machiavelli.
Voglio invece parlare del fumo. Non del fumo che avvolge la politica italiana, ma proprio del vizio del fumo. Penso che possa interessare a molti lettori. Mi sia consentito un riferimento personale. Dopo l’ennesimo divieto di mettere una sigaretta in bocca intimatomi dalla mia cardiologa (ho un bel numero di stent alle coronarie), mi è capitato di sfogliare un delizioso volumetto di Armando Massarenti, responsabile del supplemento culturale “Il Sole 24 Ore Domenica” (“Il lancio del nano”, Guanda, 2006).
In un capitolo intitolato “Smettere di fumare: Aristotele contro Platone”, Massarenti simula la posizione che prenderebbero i due filosofi di fronte al problema. Per Platone (anzi per Socrate, il protagonista dei suoi dialoghi), la soluzione sarebbe semplice. Una volta che si conoscono il bene e la virtù, non si può che agire di conseguenza. Per Aristotele, invece, sapere che si deve smettere di fumare non sarebbe sufficiente. Lo Stagirita aveva scoperto un fenomeno, “akrasìa”, o debolezza della volontà, che ci spinge a compiere scelte in disaccordo con ciò che riteniamo sia un bene per noi.
Neppure il saggio e il sapiente erano per lui al riparo dagli accidenti della sorte, del desiderio, delle tentazioni esterne, dei piaceri. Per poterli fronteggiare doveva allora costruirsi quotidianamente, con astuzie che ricordano Ulisse alle prese col canto delle sirene, degli abiti mentali che lo inducessero ad adottare comportamenti virtuosi: una specie di “seconda natura”, capace alla lunga di modificare il proprio carattere finché l’essere virtuosi si trasforma in un istinto (per il filosofo americano John Dewey l’istinto è “un impulso carico di abitudini”).
L’intuizione di Aristotele è geniale e profonda, ma purtroppo è difficile da mettere in pratica (o, quando viene messa in pratica – per esempio, da politici, banchieri, manager – serve spesso a dissimulare una congenita inclinazione alla bugia, alla frode, al raggiro). In ogni caso, chi scrive non ci è mai riuscito. Forse perché si è lasciato tralignare dal pensiero di un importante filosofo contemporaneo, Allen Konisberg (più noto come Woody Allen): “Ho smesso di fumare. Vivrò una settimana in più. Durante la quale pioverà sempre”.