Nonostante il prezzo del petrolio sia crollato – e secondo alcuni esperti potrebbe continuare a scendere – lo Stato Islamico non vuole mollare i giacimenti conquistati. Anzi, cerca di controllarne di nuovi. L’Osservatorio siriano per i diritti umani con sede a Londra ha confermato che i giacimenti di Jazal e quello di Shaer (gas) sono sotto il controllo degli estremisti islamici. “Il regime siriano ha perso l’ultimo giacimento petrolifero in Siria”, ha detto l’istituto.
L’ULTIMO GIACIMENTO DI ASSAD
Jazal è un giacimento di media dimensione situato a nord est dell’antica città di Palmira, anche questa presa d’assalto dall’Isis. Poco distanti ci sono anche i principali giacimenti di gas della Siria, che fruttano al regime miliardi di dollari. A giugno, le truppe di Bashar al-Assad erano riuscite a recuperare il controllo della regione, grazie ai bombardamenti della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti a Raqqa che hanno ucciso 16 jihadisti, tra cui cinque di nazionalità straniera.
IL REDDITO PETROLIFERO
Fino allo scorso anno, i campi petroliferi controllati dall’Isis producevano circa 50mila barili al giorno in Siria e 30mila in Iraq. Il barile di “petrolio terrorista” era venduto ad un prezzo di 40 dollari al barile. Oggi, invece, secondo Foreign Policy, i drappi neri producono al massimo 20mila barili e il loro prezzo è sceso a 18 dollari.
Ma il commercio di idrocarburi continua a essere conveniente. Secondo un rapporto del Tesoro americano, nelle casse dello Stato Islamico entrano circa 40 milioni di dollari al mese grazie alla vendita del petrolio del nord dell’Iraq e della Siria. Il documento, ripreso da RIA Novosti, sostiene che un’operazione realizzata nell’est della Siria ha fornito informazioni vitali sui conti dell’Isis. Nell’attacco è anche stato ucciso il responsabile del business petrolifero dell’organizzazione, Abu Sayyaf.
COL ACQUA ALLA GOLA
Oltre all’energia, l’acqua è un’altra fonte di reddito per l’Isis. Come raccontato da Formiche.net, in Medio Oriente le risorse idriche sono obiettivi militari. Il controllo dell’acqua garantisce il controllo delle città e delle campagne circostanti. Per questo l’Isis ha minacciato più volte di sospendere la somministrazione dell’acqua alle città che resistono al suo dominio in Iraq. Per il Washington Post, “i livelli d’acqua in Iraq sono scesi per via delle scarse piogge. Se si sospendesse la somministrazione dell’acqua, le città non potrebbero più irrigare i campi di grano”. Inoltre, a causa dell’aumento del livello dell’acqua nelle dighe, oltre le loro capacità, si potrebbero generare danni infrastrutturali e inondazioni nelle comunità vicine, devastando scuole, case e coltivazioni. L’Isis aveva attaccato quattro impianti del Tigri e dell’Eufrate, con l’obiettivo di costringere la popolazione a spostarsi.
VECCHIE TECNICHE
La Casa Bianca ha subito lanciato l’allarme: chi specula sull’acqua mette a rischio la vita di migliaia di civili. Una pratica molto comune. Negli anni ’80 – ricorda il Guardian – Saddam Hussein prosciugò il 90% delle paludi della Mesopotamia per punire i ribelli sciiti. I fiumi Tigri ed Eufrate sono sempre stati al centro di conflitti e l’acqua nella regione resta un elemento di ricatto e strategia militare. Durante l’intervento in Iraq nel 2003, i soldati americani sono andati alla conquista della diga di Haditha, che produce il 30% dell’energia elettrica del Paese. L’Isis ricava soldi anche dalla vendita di pezzi d’arte saccheggiati negli assalti alle città antiche e dai riscatti degli occidentali sequestrati.
REGIME DI MAFIE
Così i drappi neri riescono a pagare fino a 1000 dollari al mese i loro combattenti. Ma secondo il ricercatore Amal Saad, dell’Università americana di Beirut, “c’è bisogno di molto di più per occupare i palazzi governativi e disporre di funzionari che si occupino della burocrazia di un vero Stato. Quello di Isis non è uno Stato Islamico, ma una mafia”, dunque decisamente più facile da far cadere.