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Perché c’è la corsa ad accogliere i profughi siriani

Welcome! hanno urlato austriaci e tedeschi ai poveri siriani (e non) scappati (forse) da pene, violenze, schiavisti e guerre. Non lo avevano fatto prima al Brennero (e i francesi a Ventimiglia) e non erano scesi neppure in Sicilia in macchina ad accoglierli, come hanno fatto alla frontiera con l’Ungheria. Ma in Sicilia i siriani erano pochissimi e gli africani moltissimi. (Anche il Papa ha promesso oggi alloggi ai siriani, magari islamici, ma non agli africani, magari cattolici: perché?)

Questa politica tedesca, subito seguita da quella francese e anche da quella inglese, da un lato lascia stupiti, dall’altro puzza, appare pelosa. Esistono tre piani sui quali ragionare.

Quello umanitario. Abbiamo il dovere di aiutare sempre chi ha bisogno; tanto più chi è caduto nel bisogno, a seguito di guerre o porcherie umane. Questo dovere spetta anche agli Stati? Mai nella storia è stato possibile avere uno Stato “buono”, capace di aiutare tutti i bisognosi a lui rivoltisi; mai: neanche gli Stati religiosi, teocratici, socialisti o comunisti, internazionalisti; degli Stati “liberali” non parliamo neppure. E mai sarà possibile; perché uno Stato nasce da un contratto di convivenza di una collettività determinata (che il più delle volte ha una sua forma “costituzionale”), spesso nazionale, talvolta federale, ma mai universale.

Quello politico. La situazione delle guerre e delle miserie, nelle aree da cui provengono quasi tutti i migranti di oggi, è molto variegata e complicata. Ma un denominatore comune può essere trovato negli errori politici e negli interessi delle grandi “potenze” mondiali, affiancate dai loro amici, congiunturali o storici. Gli americani, da lontano, fanno valere i  loro interessi di politica estera (divide et impera nel mondo arabo) ed economica (controllo delle aree petrolifere ed energetiche medio-orientali). Gli europei fanno confusione; basta solo guardare cosa hanno fatto in Libia e Siria, per capire come politiche spesso nazionalistiche, ma sempre sconclusionate, si traducano in tragedie umanitarie, senza precedenti: in Siria la Francia di Hollande sostenne nel 2013 la guerra civile, contro Assad, con un assurdo e complice silenzio della UE; oggi la stessa Francia di Hollande ha deciso di mandare aerei a combattere contro l’Isis – che con gli americani hanno contribuito ad armare – e quindi a difesa di Assad.

Gli europei, in questi ultimi anni, hanno lanciato iniziative destabilizzanti, senza mai prevedere i punti di caduta: errore politico imperdonabile (un Maestro diceva: mai cercare di andare da A a B, se non si è sicuri che B sia meglio di A). I russi sembrano restare alla finestra, con un loro nazionalismo fatto di grande concretezza, assediati da una Nato, che appare sempre più equivoca e inutile. Pronti ad intervenire sugli errori degli altri; come peraltro i cinesi.

Quello economico. Sembra oggi fortemente connesso con quello politico. L’obiettivo delle grandi potenze rimane il controllo delle aree energetiche e di quelle con materie prime di interesse essenziale per la loro vita e il loro sviluppo. Oggi se non ci fossero più petrolio e gas in Arabia Saudita, in Iran e nei Paesi del Golfo, probabilmente le guerre diventerebbero solo tribali, fino a svanire nella povertà dei deserti. Le armi, gli arsenali militari e tutti gli strumenti di difesa (più spesso offesa) bellica provengono dalle aree di queste grandi potenze; e contribuiscono a mantenere questa instabilità drammatica che stiamo vivendo.

A seguito della fotografia del cadavere di un bambino reso dal mare, dopo un tentativo di fuga dalla guerra siriana, l’Europa si sta muovendo. Col cuore e senza cervello? Non è detto. Avere scelto i siriani come immigrati da accogliere a braccia aperte può non essere casuale. Essi non sono moltissimi (qualche centinaio di migliaia sono integrabili; per esempio, i francesi si sono oggi impegnati per 24 mila in due anni; gli inglesi per 20 mila in 5 anni; e i tedeschi per ora non hanno messo limiti). Possono essere usati come strumento per aiutare a trovare una soluzione al problema siriano, che metta d’accordo russi, iraniani, americani e israeliani. Non presentano fanatismi religiosi. Sono preparati e quindi facilmente impiegabili nelle economie europee. E un giorno potrebbero anche rientrare in una Siria pacificata e in sviluppo. In particolare la Germania ha bisogno di manodopera seria e a basso costo (non dimentichiamo la elasticità del mercato del lavoro tedesco rispetto a quello di molti altri Paesi UE); e potrebbe averla trovata, facendosi oltretutto paladina del buonismo internazionale (precedendo addirittura il Papa).

I nostri immigrati, africani, poveri e islamisti, interessano meno o nulla. Si sente odore di un certo razzismo in tutta questa vicenda “buonista” europea (a proposito, ma le Nazioni Unite si sono forse evaporate, con i soldi di 193 Stati, che le finanziano per la pace nel mondo?).


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