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II doppio gioco dei Paesi del Golfo con i profughi siriani

Migliaia di siriani (e iracheni)scappano dalla guerra e cercano disperatamente di arrivare in Europa, nonostante le polemiche, la resistenza e la crisi economica europea. Ma perché non optano per l’asilo nei Paesi del Golfo, più vicini geograficamente e culturalmente?

Secondo il Deutsche Welle nel 2014 l’Arabia saudita ha donato circa 755 milioni di dollari per l’attenzione umanitaria dei rifugiati del Medio Oriente e dell’Africa. Ora si è impegnata a finanziare 200 moschee in Germania per sostenere il processo di integrazione dei rifugiati. Il programma Global Humanitarian Assistance lo classifica come il sesto Paese più generoso del mondo in questo senso. Tuttavia, nel territorio saudita, a casa propria, non vogliono profughi; una scelta che è stata criticata da Amnesty International: “La completa mancanza di offerte di accoglienza da parte dagli Stati del Golfo è vergognosa”, ha detto l’organizzazione nel 2014.

ENTRARE NEL GOLFO

Molti rifugiati sono entrati in Libano, Giordania e Turchia, ma accedere agli altri Stati arabi è meno semplice. Ufficialmente, i siriani possono chiedere un visto turistico e il permesso di lavoro in Iran, Irak, Kuwait, Oman, Arabia Saudita, Bahrein, Qatar e Emirati Arabi. Il processo però è costoso e le regole non sono scritte, per cui è molto improbabile che siano dati tali concessioni a un migrante siriano. I pochi siriani che ci sono in questi Paesi, vivendo di fatto lì, sono riusciti ad allungare la loro permanenza grazie alla presenza dei familiari.

LE CRITICHE

Su social network e stampa non mancano le critiche: perché i Paesi del Golfo non si fanno avanti nell’emergenza umanitaria della regione? L’hastag in arabo e in inglese Welcoming_Syria’s_refugees_is_a_Gulf_duty è trending topic da settimane. Il quotidiano tedesco Handelsblatt ha criticato molto il regime di Salman bin Abd al-Aziz per “eludere le responsabilità come vicino super-ricco dei Paesi in guerra. Ha l’obbligo morale di accogliere rifugiati torturati e perseguitati”. Il quotidiano saudita Makkah ha pubblicato una vignetta nella quale si vedono due porte: una, circondata da filo spinato e con un uomo dal tradizionale abbigliamento del Golfo che indica l’altra porta e dice: “Perché non li lasciate entrare, scortesi”. L’altra porta ha la bandiera dell’Europa.

Saudi Makkah newspaper

QUESTIONE DI LAVORO

Dei 29 milioni di abitanti dell’Arabia saudita, sei milioni sono stranieri. In Kuwait il 60% della popolazione è composta da stranieri, in Qatar rappresentano il 90% e negli Emirati Arabi l’80%. La resistenza nell’accogliere i rifugiati siriana si basa, tra altre motivazioni, sul fatto che i Paesi del Golfo hanno impiegato molti immigrati del sudest asiatico e del subcontinente indiano. Nel 2012, il Kuwait ha annunciato una strategia per ridurre di un milione i lavoratori stranieri in 10 anni, privilegiando i cittadini locali. Il programma è noto con il nome di “nazionalizzazione dell’occupazione”. La monarchia dell’Arabia saudita è nella stessa linea: nel 2014 ha espulso 370mila immigrati per creare nuovi posti di lavoro per i sauditi.

MUSULMANI LIBERALI

Per Deutsche Welle c’è anche un fattore politico che spiega perché i sauditi hanno chiuso le porte: “Se danno asilo ai rifugiati siriani, la monarchia saudita ha paura che la popolazione cominci a identificarsi con quelle richieste di valori democratici. Inoltre, le posture liberali dei musulmani siriani potrebbero entrare in conflitto con gli ultraconservatori dell’Arabia Saudita”. Solidali sì, ma fuori dalle porte di casa.


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