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L’esodo dell’Europa

La crisi dei rifugiati che attraversa l’Europa è grave dal punto di vista organizzativo, economico, politico, culturale. Difficile trovare una soluzione, tanto più una soluzione condivisa. Ma diventa irrisolvibile quando viene evocata una paura ancestrale, cioè il timore di perdere la propria identità. Quale identità, quella europea che non esiste, quella nazionale che è già cambiata una infinità di volte nel corso dell’ultimo secolo? A quale Ungheria si richiama Orbàn? A quale Danimarca vuole ancorarsi il governo di Copenaghen? Ma anche noi, a quale Italia facciamo riferimento: a quella con o senza i tirolesi, con o senza i dalmati e gli istriani, con o senza i coloni libici?

Hitler e Stalin hanno sradicato, espulso, deportato e disperso 30 milioni di persone tra il 1939 e il 1943. Con la ritirata delle truppe dell’Asse il processo venne rovesciato. Dall’est venivano verso ovest baltici, polacchi, ucraini, cosacchi, ungheresi, rumeni e altri. Il New York Times raccontò una colonna di 24 mila cosacchi in marcia nell’Austria meridionale “non diversi da quelli ritratti nei quadri napoleonici”. Dai Balcani affluivano non solo tedeschi ma croati fuggiti dal regime fascista di Ante Pavelic. C’erano le armate naziste in rotta, i volontari delle SS dalla Norvegia, Olanda, Belgio, Francia, russi e ucraini che avevano combattuto l’Armata rossa sotto il comando tedesco. E i prigionieri di guerra scappati dai campi di lavoro.

Poi c’erano gli ebrei che nessuno voleva: gli scampati dai lager, ma anche quelli detenuti nei campi inglesi per impedire loro di andare in Palestina. La storia della nave Exodus che divenne un film di successo lo racconta in modo romanzato, perché la realtà fu molto meno eroica: il vascello speronato e abbordato dalla marina di Sua Maestà, i profughi che sognavano la terra promessa deportati in Inghilterra.

Da questa immensa tragedia è scaturita l’Europa che conosciamo. Spiega Tony Judt nel suo libro fondamentale “Dopoguerra“: “Alla conclusione della prima guerra mondiale c’erano confini che erano stati inventati e aggiustati, mentre i popoli nell’insieme furono lasciati in pace. Dopo il 1945 accadde l’opposto, i confini restarono per lo più intatti e vennero spostate piuttosto le popolazioni”. Ne emerse “una Europa di Stati nazione etnicamente omogenei”.

La Polonia nel 1938 era popolata dal 68% di polacchi, nel 1946  i polacchi erano al 100%. Scomparsi i tedeschi, i russi, i gitani, gli ebrei. In Germania accadde lo stesso. La Cecoslovacchia la cui popolazione era composta per il 22% da tedeschi seguiti da ungheresi, ucraini ed ebrei, divenne tutta di cechi e slovacchi. Greci e turchi nel sud dei Balcani e attorno al mar Nero, italiani in Dalmazia, Ungheresi in Transilvania e nei Balcani del nord, Polacchi in Ucraina, Lituania e Bukovina, tedeschi dal Baltico al mar Nero, ed ebrei ovunque: tutti vennero estirpati e sparirono. “Una nuova Europa dai più stretti legami, come si disse, era nata”.

Oggi la situazione è diversa e il paragone con il secondo conflitto mondiale non tiene? Ma davvero? Non c’è stata una terza guerra mondiale, chiamata guerra fredda? E la sconfitta del blocco sovietico non ha trasformato ancora una volta l’Europa, anche con il ferro e il fuoco come in Jugoslavia? Adesso il Vecchio continente sta cambiando di nuovo sotto i colpi di un’altra guerra ai suoi confini, in Medio oriente e in Nord Africa. Forse è una nuova guerra mondiale a tappe, come dice il Papa, forse è cominciata l’11 settembre 2001, certo è che ci coinvolge.

I profughi della seconda guerra mondiale non era tutti europei, come abbiamo visto e nemmeno tutti cristiani. Gli ebrei non erano ben accolti nonostante l’Olocausto. I musulmani vennero repressi in Bosnia sotto Tito e in Albania da Enver Hoxha. Ma in ogni caso non regge nemmeno l’obiezione sulla identità religiosa.

Dunque, quale Europa vogliamo salvare? Quella della pulizia etnica avvenuta ad opera dei comunisti con il benestare degli alleati occidentali? Quel che sta accadendo nell’est europeo viene spesso spiegato come conseguenza del nazionalismo di destra che rinasce. Forse, purché non si dimentichi che il vero ethnic cleansing lo hanno fatto le armate sovietiche e i regimi fantoccio installati da Stalin.

A quale identità vogliamo adesso richiamarci? A quella del 1914, quella del 1939, quella del 1949? Non lo sappiamo ed è ovvio che sia così perché quel richiamo non ha senso. L’unica identità basata sulla ragione e non su relitti barbarici come lo ius sanguinis, è quella degli Stati Uniti. Gli americani si definiscono tali in base alla costituzione degli Stati Uniti non alla religione o al colore della pelle e questo era vero persino ai tempi bui della schiavitù o della discriminazione contro i neri: non c’è bisogno di leggere interi volumi, basta guardare film come Selma e soffermarsi sul dibattito tra Johnson e Wallace per capirlo.

Gli europei hanno evitato di seguire l’esempio americano, per egoismo, per opportunismo, ma anche perché vittime di pregiudizio e arretratezza culturale. La discussione ha riguardato radici arcaiche e improbabili, trascurando l’evidenza: a differenza dalle piante l’uomo materiale si regge sulle gambe, mobili per natura.

Se gli ungheresi volessero davvero tornare alle loro mitiche origini, dovrebbero scordarsi ogni confine e cavalcare nelle steppe dell’Asia centrale come gli unni la cui patria non aveva limiti geografici. Altro che muri. Quanto ai danesi, i loro antenati colonizzarono l’Inghilterra, l’Ucraina, la Normandia, la Sicilia e non sembra fossero così attaccati alle radici, tanto meno alla religione, visto che diventarono cristiani o alla lingua che si trasformò in inglese o francese. Altro che paradiso nordico da difendere.

Se fatta così, viziata dalla ideologia, la discussione non ha senso. In più, trascura di affrontare la realtà, cioè l’Europa che conosciamo e in cui viviamo, quella segnata dalla seconda guerra mondiale e dalla guerra fredda.

Dunque, è inutile tutta questa querula polemica, ogni soluzione sarà un palliativo, una pecetta. L’Europa non è in grado di gestire il nuovo esodo, come lo chiama l’Economist nella sua copertina, perché non ha una identità costituzionale. Per questo è ancor più opportuno che sia l’ONU ad intervenire ai massimi livelli, basandosi su una carta che a parole tutti i membri hanno approvato dopo la seconda guerra mondiale, quella dei diritti dell’uomo.

Stefano Cingolani


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