Grazie all’autorizzazione del gruppo Class, pubblichiamo l’analisi di Alberto Pasolini Zanelli pubblicata sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi
Già all’annuncio di questo suo viaggio, Papa Francesco creò un’atmosfera di grande attenzione per una visita alle Americhe che contiene un tuffo nelle contraddizioni fra due paesi, due regimi, due ideologie. Già le ore iniziali hanno mostrato quanto profonde le differenze siano.
Ci voleva un uomo semplice e coraggioso come questo Papa per affrontare queste contraddizioni ambientali. È vero che è anche per merito suo che è stato possibile mettere assieme e presentare al pianeta una riconciliazione tra due paesi che, fino a pochi mesi fa, avevano intrattenuto quasi soltanto rapporti di natura militare, condotte più dai generali che dai diplomatici le cui sedi erano chiuse da mezzo secolo. Papa Bergoglio ha trovato, è vero, un’accoglienza e una collaborazione straordinari sia da parte di un Castro epigono del fratello fondatore rimasto comunista fino a ben dopo la chiusura dell’Unione sovietica, ma ciò non gli ha risparmiato la persistenza di critiche, molto più forti, ora lo sappiamo, nella patria di Barack Obama che in quella lasciata in eredità da Fidel. Le accoglienze all’Avana sono state calorose come si sperava, il dialogo è stato intinto in quello che si può definire affetto, impermeabili a coincidenze che viste da lontano sono in buona parte surreali, come le ore di «coabitazione» fra le immagini vive di un pontefice e le icone della leggenda di Castro e del Che Guevara che ancora incombono sulla piazza centrale intitolata alla Rivoluzione.
Ma nello scambio di saluti e di discorsi ha prevalso, fin dal principio, una compatibilità fra due «credi» a lungo ritenuti inconciliabili. Qualcuno ha cercato e trovato delle coincidenze storiche e culturali: definendo Papa Francesco come frutto anche di un’eredità «peronista», da argentino ad argentino. Dopotutto Jorge Bergoglio è stato concittadino di Ernesto Che Guevara e, a prescindere da questo, hanno vissuto entrambi anni che hanno inciso profondamente nello sviluppo politico e psicologico del paese. Del peronismo conosciamo i fallimenti economici ma anche la solidità e la fedeltà delle idee e ideologie. Più di mezzo secolo dopo la cacciata di Juan Domingo Peron dalla Casa Rosada, dopo dittature, rivoluzioni e restaurazione al potere in Argentina ci sono ancora i peronisti e rimarranno anche dopo le imminenti elezioni. Il resto dell’America latina, inclusa ora Cuba, continua a muoversi in quella direzione, per una evidente fedeltà sentimentale e culturale. Il cardinale Bergoglio non fu mai peronista e anzi conobbe difficoltà nei rapporti con il regime, oggi superati da quando il discorso si è allargato a tutta l’America latina e soprattutto da quando i punti di contrasto possono essere discussi in pubblico e nelle piazze.
Una «comunanza» che Francesco difficilmente può ritrovare negli Stati Uniti, patria di una eredità culturale non solo diversa ma in vari campi opposta. È stato e continuerà molto probabilmente ad essere più facile far collaborare gli eredi di una storia ostile che non diversità che sono di cervello e di cuore. La mediazione politica fra il giovane presidente Usa e la «dinastia senile» dei Castro ha avuto un successo indiscutibile ed è quasi sicuramente destinata a durare, ma se Cuba è ancora in qualche modo castrista (o almeno peronista), gli Usa sono rimasti «americanisti» e Obama, pur eletto e rieletto, non ne esprime tutte le radici.
Una prima avvisaglia è venuta fuori su un tema teoricamente marginale o più indirettamente politicizzato: l’ecologia. In nessun altro paese visitato un Papa è stato criticato così acerbamente da uno degli intellettuali più seguiti e, usualmente, pacati nel tono come George Will. Un suo intervento sulla Washington Post contiene espressioni come «esibizionismo», «retorica senza basi», «populismo rancido alla peronista», «ostilità alla crescita», «simpatia per la stasi medioevale», «promozioni di politiche nemiche alle persone più vulnerabili e senza rapporto con quello che era una volta la missione salvifica del papato».
Papa Francesco sarebbe «ostile alla modernità, alla razionalità, alla scienza, alla creatività spontanea delle società aperte. Nella sua enciclica del mese di giugno questo Papa ci richiama alle nostre responsabilità, ma dimentica il dovere di essere più intelligenti che si può. Esalta la natura ma dimentica che essa è così spesso sinonimo di penuria, malattie e disastri naturali. Dimentica anche che la crescita economica «capitalista» ha ridotto in tre decenni il numero degli esseri umani in «povertà assoluta» e che i fertilizzanti e i pesticidi producono oggi almeno il 60% del cibo mondiale. Gli americani non possono onorarlo e simultaneamente celebrare le premesse stesse della loro nazione».