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Siria, la Russia ha usato bombe a grappolo?

In un mondo sempre più insensibile, spesso indifferente, alla sofferenza ed alle tragedie umane, la letalità delle bombe e il suo uso irriguardoso per la salvaguardia della vita non potevano sfuggire alla nefasta logica della disumanità dilagante.

Giorni fa, a poche ore dall’avvio delle operazioni aeree russe in Siria, guardando le immagini televisive di una incursione aerea (GUARDA QUI IL VIDEO DEI RAID RUSSI), si è potuto notare chiaramente l’impatto di una cluster bomb, nota giornalisticamente come bomba a grappolo, apertasi a poche decine di metri dal suolo siriano e deflagrata in decine di scoppi.

Sempre che la valutazione tecnica sul tipo di bomba fatta al volo su quelle immagini sia stata corretta – e constatato con la redazione di uno dei tanti tg che l’ha trasmesso che si trattava di immagini appena giunte e non di repertorio – la prima idea è stata quella di una polpetta avvelenata per i russi, messa nel circuito mediatico da qualcuno per gettare un’altra piccola croce addosso a Vladimir Putin, ed accusarlo di utilizzare armamento ad alto rischio di errore, messo al bando da 30 paesi dopo un lungo dibattito internazionale promosso e sostenuto dalle Nazioni Unite ed Europa.

In effetti non era così, un sommario tracciamento della provenienza del filmato consentiva di appurare che la provenienza era molto verosimilmente russa e che altri spezzoni video del pacchetto messo in circolazione, davano testimonianza di altro armamento non di precisione utilizzato nel teatro siriano.

Per memoria dell’opinione pubblica italiana, le cluster bomb sono quelle per cui, ai tempi dell’intervento Nato in Kossovo si accesero vivaci polemiche quando tre marinai del peschereccio Profeta al largo delle coste venete rimasero feriti tirando a secco le reti in cui si erano impigliate tre submunizioni di una cluster, che esplosero una volta a bordo. Né è superfluo ricordare che per quello stesso fatto il generale Mario Arpino e l’ammiraglio Umberto Guarnieri, rispettivamente capo di Stato Maggiore della Difesa e della Marina, dovettero difendersi in un processo messo in piedi ad arte dalla Procura di Venezia.

Vero è che né Russia né Stati Uniti hanno firmato la messa al bando di simili armi, ma è pur vero che ormai è consuetudine usare solo armamento intelligente in qualunque teatro di operazioni e chiunque sia il nemico e che nella pianificazione delle missioni aeree, la salvaguardia della vita dei non combattenti è fattore primario di calcolo.

Purtroppo così sembra non essere più, siamo regrediti di molto da quando, solo pochi anni fa, crisi libica compresa, la Nato veniva messa sotto quotidiana accusa per ogni seppur minimo, sempre non voluto, danno collaterale; allora le immagini erano la forza di chi, anche esagerando, gridava allo scandalo ad ogni errore, oggi a distanza di circa una settimana nessuno sembra essersi accorto che un paese civile sta utilizzando, senza neppure il pudore dell’occultamento della prova, anzi esibendola con protervia, armamento che andrebbe bandito una volta per tutte dalla lista degli armamenti dei paesi civili.

Fa da ultimo venire i brividi il portare alle estreme conseguenze l’imbarbarimento che progressivamente si sta impadronendo anche dei cieli delle operazioni, proprio per questo occorre fermare con decisione la deriva che l’episodio di sabato scorso a Kunduz a danno di Medici senza Frontiere conferma appieno, questo se non si vuole arrivare ancora una volta sulla soglia del baratro che la fine della Guerra fredda sembrava aver allontanato.

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