Che cosa resta a trent’anni di distanza della crisi di Sigonella? Di certo, il ricordo forte di una pagina di orgoglio nazionale indelebile e viva più di ogni altra, anche tra le nuove generazioni, e la nostalgia per un’Italia che seppe difendere con la forza della ragione e del diritto internazionale la sua sovranità nazionale.
Ma delle ragioni, delle intuizioni e delle convinzioni profonde, nonché del disegno geopolitico che sottintendeva alle spedite e delicate scelte che mossero l’agire del presidente del Consiglio Bettino Craxi resta, purtroppo, poco o nulla.
(CHI C’ERA ALLA NOTTE DI SIGONELLA CON STEFANIA CRAXI. LE FOTO DI PIZZI)
La notte di Sigonella, infatti, fu tutt’altro che una prova di machismo verso l’alleato americano, né tantomeno un mero rigurgito di orgoglio nazionale. Fu la notte della politica, delle scelte difficili e obbligate di un leader e di un governo che si ponevano come interlocutori indispensabili nelle questioni più importanti che interessavano le regioni mediorientali. Craxi, pur ribadendo in ogni frangente la collocazione e la vocazione atlantista della sua azione politica e di governo, non rinunciò mai – tantomeno nelle complicate vicende di Sigonella – a perseguire una coerente politica autodeterminata, che fosse in sintonia con la vocazione geografica, storica e geopolitica di un’Italia che, proprio all’epoca dei fatti, aveva forse raggiunto l’acme del suo ruolo nei delicati e sempre precari equilibri della regione mediterranea.
(TUTTI I BERLUSCONIANI ED EX SOCIALISTI PER IL DOCUFILM SU SIGONELLA. FOTO DI PIZZI)
Il dirottamento dell’Achille Lauro, pertanto, non fu un fatto isolato, da affrontare e da leggersi fuori dal contesto, dal confronto e dallo scontro internazionale che si consumava nello scacchiere mediorientale. È del tutto evidente che a Sigonella, epicentro di una vicenda che vedeva all’opera le diplomazie di tre continenti, Italia e Stati Uniti giocarono una partita complessa che andava ben oltre l’evento in sé, in cui si confrontavano due linee, due visioni divergenti, distanti ma non opposte, sui destini e sul ruolo del Mediterraneo e sulla soluzione del conflitto israelo-palestinese.
Le scelte di Craxi furono dettate in primo luogo dall’esigenza di salvaguardare la credibilità e l’autorevolezza dell’Italia nei processi di sviluppo, integrazione e pacificazione della vasta area del Mediterraneo allargato, rimarcando così la necessità del proprio ruolo di mediatori riconosciuti nella soluzione di conflitti in Medio Oriente. Le pressioni americane per vedersi consegnare Abu Abbas non erano certo supportate dal diritto, ma dal desiderio di dare a prescindere una lezione agli autori di atti terroristici e, ancor di più, a placare e soddisfare le pressioni di Israele volte a mettere fuori gioco l’Olp negli avviati negoziati di pace. Tutto tra Italia e Usa fu presto chiarito, lo stesso Reagan comprese le ragioni e le azioni di Craxi (celebre la lettera di Regan Dear Bettino), e fu lo stesso Dipartimento di Stato, a crisi conclusa, a esortare Reagan e i suoi più stretti collaboratori ad adottare una visione più ampia dei veri interessi degli Stati Uniti negli scenari mediorientali, che non potevano essere relegati alla cattura di un drappello di terroristi arabi.
(CHI C’ERA ALLA NOTTE DI SIGONELLA CON STEFANIA CRAXI. LE FOTO DI PIZZI)
Da allora, tutto e al contempo niente è cambiato. Il Mediterraneo e il Medio Oriente sono pistole jihadiste puntate al cuore dell’Europa e dell’occidente e ciò anche e soprattutto perché, da ormai un ventennio, l’Europa post-Maastricht, con la testa e gli interessi votati altrove, e ancor più l’Italia, “nave senza nocchier in gran tempesta”, hanno abbandonato per insipienza e per logica di sistema al proprio destino l’area del mare nostrum. L’intuizione di Craxi, che attribuiva importanza vitale alla stabilità e alla pace nel Mediterraneo e nel Medio Oriente come fattori indispensabili per la sicurezza, lo sviluppo e la stessa esistenza dell’Europa, era indissolubilmente legata alla possibilità di perseguire nella regione uno sviluppo condiviso che favorisse gradualmente l’integrazione delle economie e l’avvicinamento delle civiltà.
Forse, se si fosse perseguita con la stessa volontà e con la pervicacia di Craxi questa visione, la storia avrebbe preso un altro corso. Le cose sono andate diversamente sino alle tragedie dei nostri giorni e, purtroppo, quello che succede nel Medio Oriente, è una prospettiva peggiore di quella di trent’anni fa.
(articolo uscito sulla rivista Airpress)