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Perché non sono catastrofista su crescita e disuguaglianze. Parola di Angus Deaton, premio Nobel per l’Economia

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Grazie all’autorizzazione della casa editrice il Mulino, pubblichiamo un breve estratto delle conclusioni del libro “La grande fuga – Salute, ricchezza e origini della disuguaglianza” (2015)

È probabile che il rallentamento della crescita sia sovrastimato. Di certo le analisi statistiche mancano di registrare molti passi avanti di tipo qualitativo, in particolare nel settore dei servizi, responsabile oggi di una quota crescente del prodotto nazionale. La rivoluzione dell’informazione e i suoi dispositivi contribuiscono al nostro benessere più di quanto siamo in grado di misurare.

Che queste soddisfazioni compaiano a fatica nelle statistiche relative alla crescita la dice lunga sull’inadeguatezza della statistica stessa, non della tecnologia e delle sue gioie. La grande maggioranza della popolazione mondiale non vive in Paesi ricchi, e per essa non si è registrato alcun rallentamento della crescita. In effetti gli oltre 2 miliardi e mezzo di cinesi e indiani di recente hanno registrato tassi di crescita senza pari in altre parti del mondo. E se pure questi tassi dovessero rallentare, i “vantaggi dell’arretratezza” dovrebbero comunque consentire a questi paesi una crescita da rincorsa superiore a quella media per molti anni ancora.

Per l’Africa le possibilità di sviluppo sono infinite, e già se ne riconoscono alcune, ora che una gestione economica più saggia riesce a evitare alcune delle catastrofi che questo continente in passato si è autoinflitto. Se poi l’Occidente sarà in grado di guarire dalla propria dipendenza psicologica dagli aiuti e smetterà di minare alla radice la vita politica africana, si assisterà, credo, a uno sviluppo finalmente di natura endogena. Dobbiamo smettere di soffocare l’esprimersi degli innumerevoli talenti degli africani.

Il tasso di crescita della speranza di vita sta rallentando, ma si tratta di un segno positivo; la morte sta invecchiando, e salvare persone già anziane incide sulle aspettative di vita meno di quanto inciderebbe salvare bambini. È un problema ancora una volta di misurazione, non di sostanza. La speranza di vita non è invariabilmente un indicatore appropriato dei risultati positivi che una società sta conseguendo, considerato che non vi è nulla che dimostri che salvare la vita a individui di mezza età o anziani conti intrinsecamente meno che salvare la vita a bambini.

Le minacce alla salute non mancano, ma sono in arrivo anche importanti miglioramenti. Per esempio, nella lotta contro il cancro vi sono segni di passi avanti effettivi che, con un po’ di fortuna, eguaglieranno forse quelli compiuti nel corso degli ultimi quarant’anni contro le malattie cardiovascolari. La ragione di fondo per cui la salute continuerà a migliorare è che la gente lo vuole, ed è pronta pertanto a finanziare la ricerca che si suppone possa favorirla – la ricerca di base, sulle abitudini e sui comportamenti, i farmaci, le procedure mediche e infine le tecniche. Le innovazioni non le si trovano belle e pronte, né si riesce sempre a metterle a punto nel momento in cui se ne sente il bisogno.

Nondimeno è chiaro che i bisogni ben finanziati conducono sempre a qualche risultato. Persino la pandemia dell’Hiv/Aids contiene, nonostante il suo drammatico tributo di morte, una storia di successo per quello che riguarda le nuove scoperte e terapie, e la loro capacità di rispondere ai bisogni e di farlo in tempi brevi (per quanto troppo lunghi per chi nel frattempo è deceduto), rispetto agli standard di altre epidemie del passato. La scienza, indubbiamente, funziona.

Rispetto a cinquant’anni fa, il numero dei regimi democratici è cresciuto. Che un gruppo sociale ne opprima un altro accade sempre più raramente. Inoltre la possibilità di partecipare alla vita della società è aumentata ovunque. Le persone stanno diventando più alte in tutte le regioni del mondo, e probabilmente anche più intelligenti. Il livello di istruzione è in aumento in molte parti del pianeta. Sanno leggere e scrivere i quattro quinti della popolazione mondiale; nel 1950 era in grado di farlo soltanto la metà. Vi sono zone dell’India rurale in cui nessuna donna adulta è mai andata a scuola; le loro figlie lo fanno quasi tutte. Non possiamo aspettarci che si progredisca sotto tutti questi aspetti in ogni parte del mondo, o che ciò accada senza intoppi.

Gli eventi negativi sono inevitabili, e le nuove fughe, come le vecchie, portano nuove disuguaglianze. Ciononostante, credo che queste battute d’arresto in futuro saranno superate, come è accaduto in passato.



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