«E’ difficile immaginare un servizio pubblico più servizio pubblico del canale destinato ai bambini ed ai ragazzi. E’ lì che passano i “nuovi” italiani, compresi quelli che si fermano nel nostro Paese per effetto dei grandi flussi migratori di questi mesi ed anni». Sono parole di Paolo Messa, uno dei sette nuovi consiglieri di amministrazione Rai eletti ad agosto scorso dalla commissione parlamentare di Vigilanza. Si tratta dell’intervento pubblicato venerdì sul quotidiano “già comunista” L’Unità, diretto da qualche mese da Erasmo D’Angelis, consigliere regionale toscano molto vicino al premier Matteo Renzi.
Nell’intervento leggiamo finalmente di propositi, idee e programmi riguardanti il futuro della televisione pubblica italiana che mettono il loro accento sul maggiore patrimonio nazionale, cioè i bambini, perché i figli, come ci insegna Papa Francesco, «sono sacri» (Discorso all’apertura del Convegno Ecclesiale della Diocesi di Roma, Piazza San Pietro, 14 giugno 2015).
Secondo Paolo Messa, editore, giornalista e comunicatore politico, 39 anni, già Udc ed editore della rivista “Formiche”, la radio e la tv di Stato possono rappresentare un servizio di pubblica utilità se aiutano oggi le giovani generazioni a «formarsi un sentire civile comune, una sensibilità ambientale, una diffusione di valori quali il rispetto delle regole e degli altri, e in particolare il riconoscimento del ruolo della figura femminile nella nostra società» (Paolo Messa, Rai, perché partire dalla tv dei bambini, in L’Unità, 9 ottobre 2015, p. 15). Certo, in questo passaggio ci sarebbe stata meglio la parola “mamma”, cioè la “figura materna”, prima che genericamente “femminile”. Ma, del resto, il contesto culturale-mediatico nel quale siamo ormai immersi è quello che è e, pertanto, con Messa diremmo “si fa quel che si può”…
Nel suo intervento riappare però l’altra parola antica ed assolutamente da recuperare: “educazione”. Una parola e un concetto censurati dal “politicamente corretto” che investe palinsesti e dibattito pubblico. Mentre invece, commenta il consigliere Rai, «Basta guardare i canali children delle altre grandi tv internazionali per constatare quale e quanta politica educativa passi di lì. Lo stesso cartoon “Masha e l’Orso” rappresenta probabilmente il maggiore successo di politica estera e soft power della Russia in questi ultimi anni. Diversamente, ma allo stesso modo, serie come “Peppa Pig” contengono messaggi fortemente positivi sul piano dei comportamenti sociali».
E’ qui scatta l’ovazione! Infatti, come ben sanno i lettori de “La Croce”, con tutti i cartoni animati violenti, inadatti, orripilanti e da incubo che circolano oggi, il problema del Pensiero Unico europeo è stato fino a poco tempo fa quello della famosa serie ideata da Mark Baker, Neville Astley e Phil Hall. Sì, proprio il cartone britannico ideato nel 2004, destinato ai bambini in età prescolare, che ha come protagonista un adorabile maialino le cui storie sono ambientate in una normalissima “famiglia animale”, fatta dai tradizionali mamma, papà e fratellino George. Ma, forse proprio per questo, all’inizio dell’anno in Inghilterra la Oxford University Press ha bandito da tutti i manuali scolastici le immagini e illustrazioni di maiali, veri o finti che siano, comprese quindi le raffigurazioni di Peppa family, al fine di non turbare animalisti, vegetariani e piccoli ebrei o musulmani. «Da qui l’appello a spegnere la tv, perché non sia mai che un domani quelli che oggi sono ignari bambini divengano da adulti consapevoli carnivori, e soprattutto affinché – udite edite – l’UE obblighi ad inserire nei titoli di coda una sorta di warning che dica il cartone è frutto di fantasia mentre nella realtà gli animali rappresentati vengono trattati crudelmente, sterminati o usati per la sperimentazione scientifica, maltrattati, uccisi e mangiati, ecc. ecc. No, dico ma ci rendiamo conto?» (Luca Del Pozzo, #Europa, giù le mani dai cartoni per bimbi, in La Croce quotidiano, 17 gennaio 2015, p. 2).
Ma non basta, perché il vero obiettivo è stato manifestato da alcuni opinion leader inglesi che hanno accusato di “sessismo” il cartone perché rappresenta «una famiglia al completo e sempre presente, con tutte le caratteristiche della normal family: mamma Pig, diligente impiegata, papà Pig tecnico dal multiforme ingegno ma “pasticcione”, il fratellino George affezionato ad un dinosauro giocattolo, i due nonni e una schiera di amici animali» (Movimento Italiano Genitori-Moige, Un anno di zapping. Guida critica ai programmi televisivi family friendly, Roma 2015, p. 309).
Forse non è un caso che, alla fine della prima serie, proprio in concomitanza con l’accelerazione gender della metà degli anni 2000, gli autori abbiano voluto mettere al centro delle storie il ruolo del papà di Peppa, “Daddy Pig”, verso il quale «il seccante ma adorabile fratellino George e la “so-tutto-io” Mamma Pig non perdono mai la loro fiducia, nonostante le non sempre favorevoli esperienze del passato» (Jack Seale, Why everyone loves jumping in puddles with Peppa Pig, in The Guardian, 1 October 2015).
E non a caso nel 2014 un’altra iniziativa contraria si è scagliata contro Peppa Pig. Parliamo in questo caso addirittura di una petizione al Parlamento Europeo promossa dagli animalisti dell’ Associazione Italiana Difesa Animali e Ambiente – Aidaa, volta a bandire il cartone perché reo di travisare la realtà sulla sorte quotidiana che tocca nella realtà a maiali, mucche, topi etc.
La tv pubblica di Renzi non dovrebbe però ascoltare questi bislacchi “richiami”, stando almeno a quanto affermato da Messa, secondo il quale sarebbe giusto invece che la Rai continui, per quanto riguarda l’offerta televisiva ai più piccoli, ad «investire nell’acquisto dei buoni prodotti disponibili sul mercato internazionale». Allo stesso tempo, però, sarebbe tempo che anche la creatività italiana sia valorizzata dalla tv di Stato, raccogliendo la sfida «di un ulteriore salto di qualità, incentivando la produzione di contenuti ad hoc che siano “made in Italy” e che possano non solo sostenere l’industria nazionale ed una filiera, quella dell’animazione, che è stata molto trascurata ma anche dare maggiore vigore a quella idea di futuro che immaginiamo. E’ un vasto programma, lo so. Ma è un punto di partenza, forse il punto di partenza» (P. Messa, Rai, perché partire dalla tv dei bambini, art. cit).
Idee interessanti quindi quelle contenute nel testo dell’intervento di Messa, pubblicato sul renziano “L’Unità”. Ora però si tratta di calarle nella realtà, perché chiunque veda i canali generalisti della Rai tutto vede meno che una tv “family friendly”.
Articolo pubblicato su “La Croce”