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Eni, Shell, Total. Ecco i piani dei 9 big dell’energia sul clima

L’industria petrolifera non ci sta a fare la parte del cattivo di turno. In vista della Conferenza sul clima di Parigi, dieci grandi dell’oil&gas, molte europee, vogliono mostrarsi pronte ad adottare una strategia che ridurrà l’impatto delle loro operazioni sul cambiamento climatico. L’annuncio di Eni, BG group, Bp, Pemex, Reliance Industries, Repsol, Saudi Aramco, Shell, Statoil e Total è arrivato dalla stessa capitale francese, con una dichiarazione congiunta e la presentazione di un report (“Più  energia,  meno  emissioni”) preparato dall’organizzazione in cui le dieci compagnie si sono unite dal 2014, la OGCI (Oil and Gas Climate Initiative).

PUNTARE SUL GAS NATURALE

Eni e le altre hanno dichiarato ufficialmente il loro sostegno per il raggiungimento di un accordo efficace sul clima durante la conferenza di Parigi del mese prossimo (COP21) e confermato che obiettivo comune è limitare l’aumento medio della temperatura globale a 2 gradi. “La nostra ambizione condivisa è per un futuro in linea con i 2°C. Si tratta di una sfida per l’intera società e noi ci impegniamo a fare la nostra parte: nel corso dei prossimi anni tutti insieme rafforzeremo misure e investimenti per contribuire a ridurre l’intensità di gas ad effetto serra del mix energetico globale. La nostre compagnie collaboreranno in diverse aree con l’obiettivo di andare oltre gli sforzi individuali”, hanno dichiarato i 10 Ceo.

Come si arriverà ad arginare il cambiamento climatico? Aumentando la quota di gas naturale nel mix energetico, dicono i dieci colossi mondiali dell’oil&gas. E ancora, concentrando la cooperazione su settori chiave quali: migliorare l’efficienza dell’utilizzo finale dei carburanti e degli altri prodotti e lavorare con produttori e consumatori per migliorare l’efficienza dei veicoli stradali; eliminare la pratica del flaring e ridurre le emissioni di metano nelle loro operazioni; investire in ricerca e sviluppo e innovazione per ridurre le emissioni gas serra; partecipare a partnership per migliorare la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica; contribuire ad aumentare la quota di rinnovabili nel mix energetico globale.

DESCALZI: A PARIGI SI PARLI ANCHE DI GAP COMPETITIVO

“È un fatto importante che dieci compagnie che rappresentano un quinto della produzione mondiale di petrolio e gas abbiano riconosciuto l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale nel limite di due gradi. Una volta accettato di farlo non possono non trarne tutte le conseguenze”, ha commentato Claudio Descalzi, Ceo di Eni, sesto gruppo petrolifero mondiale.

“Gli impegni sono lasciati a ogni compagnia”, ha chiarito Descalzi, “in questo momento ci siamo concentrati su temi precisi, come appunto il riconoscimento del limite dei due gradi, la spinta verso l’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni. Alcuni di noi, tra cui l’Eni, riconoscono la necessità di assegnare un prezzo alla CO2 e di ridurre il flaring“. “Una presa di posizione ragionevole e omogenea degli Stati sul clima può avere un impatto positivo sugli investitori, perché darebbe a tutto il settore più credibilità e una visione di lungo termine”, ha aggiunto Descalzi.

“L’Europa è stata la prima a muoversi su energie rinnovabili ed efficienza. Ma così paga per l’energia prezzi più elevati e mette a repentaglio la competitività delle sue imprese. Noi auspichiamo che a Parigi i policy maker individuino non solo un quadro di obiettivi, ma anche di modalità e di regole che servano a eliminare la sperequazione competitiva tra le aziende. E questo non può essere il mercato a farlo, devono essere gli Stati e le istituzioni”, ha aggiunto il Ceo di Eni. E ancora: “Non si deve contrapporre il libero mercato all’ambiente: quando la posta in gioco è così elevata i concetti liberistici vanno riconsiderati e guidati. Nessuno attacca il libero mercato, ma se diciamo che dobbiamo promuovere energia low carbon non può essere il mercato a farlo. E per promuoverla dobbiamo anche penalizzare chi emette troppa CO2”. Per Eni, “se una compagnia dovesse considerare un prezzo ombra efficace della CO2 si dovrebbe stare intorno ai 30-35 euro la tonnellata”.

TOTAL E REPSOL: SIAMO PARTE DELLA SOLUZIONE

Già una settimana prima dell’intesa tra le big dell’oil&gas il Ceo di Total Patrick Pouyanné aveva detto che le grandi del petrolio devono andare “all’attacco” e impegnarsi “a proporre risposte e soluzioni e non lasciare che i policy maker ci additino come se fossimo il diavolo”.

Anche adesso, a commento dell’accordo, Pouyanné ha ribadito che le compagnie petrolifere non sono” il cattivo”, anzi possono “aiutare a risolvere il problema” del cambiamento climatico. “Pensate quel che volete, ma c’è ancora bisogno dei combustibili fossili. Il gas è una buona soluzione, dobbiamo spiegare a chi prende le decisioni nel mondo politico che il gas va incoraggiato”. E ancora: “I policy maker in molti paesi non sono convinti che il gas faccia parte della soluzione ai problemi del clima. Noi dell’industria dobbiamo far sentire la nostra voce”. E agli ambientalisti che hanno criticato l’intesa come “fumo negli occhi”, Pouyanné ha risposto che bisogna vedere “il bicchiere mezzo pieno”: l’intesa “è un passo importante”. E si estenderà: non alle grandi americane, per ora molto lontane dalla visione delle compagnie europee, ma forse a un grande produttore della Cina, ha indicato il Ceo di Total.

“Le nostre non sono solo chiacchiere. Siamo pienamente convinti che possiamo ridurre le emissioni di CO2. Forse siamo parte del problema, ma siamo sicuri di essere anche parte della soluzione”, ha ribadito il Ceo di Repsol, Josu Jon Imaz,

CARBON PRICING, L’INTESA NON C’E’

Lo studio pubblicato dall’OGCI dimostra che “il nostro è un impegno serio e proattivo” per contrastare il cambiamento globale, ha sottolineato Bob Dudley, Ceo di BP e presidente della OGCI; “abbiamo la consapevolezza di dover fare la nostra parte e di dover agire subito”. Dudley, che è statunitense, si è detto ottimista sull’impegno preso dai 10 Ceo, nonostante l’assenza delle grandi americane, Chevron e ExxonMobil. “Penso che possiamo fare la differenza”, ha detto Dudley. “Quasi tutte queste aziende hanno grandi investimenti negli Usa”.

Siccome tuttavia lo studio non fa riferimento al carbon pricing, è evidente che nemmeno tra le 10 big “alleate” c’è accordo su questo punto fondamentale. Dudley ha chiarito, come Descalzi, che le 10 società sono indipendenti. E “in ogni caso, anche fuori dall’industria del petrolio, non esiste una visione comune sul carbon pricing,” ha aggiunto. “Invece noi abbiamo una chiara intesa sulla necessità di tecnologia, tecnologia e ancora tecnologia come strada che porta a un’energia più pulita, con sempre meno carbone e più gas”.

“La OGCI non ha una posizione comune sul carbon pricing”, ha confermato Helge Lund, Ceo di BG Group. “Le aziende europee hanno scritto una lettera all’Onu in cui supportano questa soluzione”, ha aggiunto, senza fare i nomi delle aziende che invece sono contrarie. Lund ha anche ammesso che produrre più energia e meno emissioni è una vera “sfida” e che le compagnie petrolifere non cercano “una soluzione totale, perché andremmo falliti”, ma tutte le misure “che noi possiamo adottare”.

Si tratta infatti pur sempre dei big del petrolio e l’assunto di partenza è che l’energia serve e la domanda globale è in aumento, soprattutto sui mercati emergenti, e va soddisfatta. Amin H Nasser, presidente e Ceo di Saudi Aramco, ha risposto così a chi gli ha chiesto se il mondo ha davvero bisogno dei 12 milioni di barili di greggio che la sua compagnia estrae ogni giorno: “Sì, il petrolio contribuisce alla prosperità globale… soprattutto nei paesi in via di sviluppo”.

LE AZIENDE PETROLIFERE SONO ANCORA IL NEMICO?

Il patto delle 10 big dell’oil & gas non ha convinto tutti. “Le società petrolifere dietro questo annuncio hanno passato anni a fare lobby per mettere i bastoni tra le ruote a ogni concreta iniziativa sul cambiamento climatico, minandone l’efficacia, e tutte, senza esclusione, hanno un business plan che porterà a pericolosi aumenti della temperatura globale”, ha sottolineato l’attivista di Greenpeace Charlie Kronick. “Ora si aspettano che le consideriamo parte della soluzione anziché del problema? Il mondo dovrebbe ringraziarle per la loro gentile offerta di fornire un aiuto, ma rimandare l’offerta al mittente. I piromani non sono buoni candidati a diventare pompieri”.

La Carbon Tracker Initiative, think tank finanziario, dice che le aziende petrolifere spendono tra l’1% e il 2% del loro budget per la ricerca e sviluppo su energie rinnovabili, una quota esigua e rimasta invariata negli ultimi anni. Le stesse 10 aziende che si sono strette la mano a Parigi in nome della salute del pianeta hanno chiarito: “Né il nostro contributo né quello di nessun settore industriale preso singolarmente può da solo essere sufficiente per affrontare la sfida del cambiamento climatico; questa si può vincere solo se ogni parte della società dà un contributo appropriato”. E ancora: “I governi si trovano di fronte una sfida a due facce. Il mondo ha bisogno di più energia perché la popolazione e le economie crescono. Ma questa energia deve essere fornita in modo sostenibile e accessibile”.

Neil Beveridge, oil analyst di Sanford C. Bernstein, pensa che l’industria petrolifera vada almeno premiata per il riconoscimento del suo ruolo nel cambiamento climatico: “E’ un passo importante, sono tante grandi compagnie che cercano una posizione comune. Per anni le aziende petrolifere hanno semplicemente negato che esistesse il problema”.

Ma il Ceo di Carbon Tracker Initiative Anthony Hobley resta scettico: “La conferenza di Parigi si avvicina e le iniziative sul clima si moltiplicano. Sono piene di belle intenzioni. Ma per avere credibilità un’iniziativa come questa deve offrirci di più delle parole, deve mettere nero su bianco impegni concreti e misurabili”. Che cosa manca di “concreto” all’impegno dei dieci big? Secondo Carbon Tracker diversi elementi: per esempio, l’impegno a lavorare per un efficace sistema di carbon pricing a livello sia nazionale che globale; l’impegno per modelli di business capaci di ridurre il riscaldamento globale sotto la soglia dei 2°C; target concreti sulla transizione nei mix energetici e sulla riduzione delle emissioni nelle supply chain; impegni concreti sulla quota di spesa in R&D sulle energie rinnovabili.

Anche per Jonathan Grant, director of sustainability and climate change di PwC, una dichiarazione o assunzione di impegno non equivale ad agire. L’industria del petrolio, osserva Grant, da anni sostiene di voler risolvere problemi come il flaring, ma senza, per ora, risultati significativi.

EXXON E CHEVRON “BALLANO DA SOLE”

Ci sono poi le grandi assenti, i colossi americani Chevron ed ExxonMobil: non solo non sono entrate nell’iniziativa guidata dai big europei, ma l’hanno addirittura criticata. Quel che non piace alle americane sono alcuni dei rimedi proposti, come il carbon pricing (del resto, non trova d’accordo nemmeno le 10 big dell’OGCI) o il mercato delle emissioni, che porterebbero a un aumento dei prezzi.

“Non ho mai incontrato un cliente che mi abbia chiesto di pagare di più per il petrolio o il gas”, ha dichiarato John S. Watson, Ceo di Chevron, in un incontro organizzato a giugno dall’Opec a Vienna. Rex W. Tillerson, Ceo di ExxonMobil, ha detto che il carbon pricing si potrebbe applicare solo se fosse “revenue neutral”. E a maggio, quando la sua compagnia era stata invitata a unirsi alle big d’Europa, Tillerson aveva risposto fermamente che non aveva nessuna intenzione di partecipare a un’iniziativa che “parla tanto per parlare”, a beneficio degli ambientalisti e dei policy maker, e niente più. Sia lui che il Ceo di Chevron hanno invece detto che daranno all’Onu un messaggio in totale autonomia in vista della conferenza sul clima di Parigi. Per Tillerson i limiti sulle emissioni non sono una soluzione, perché possono avere gravi conseguenze sugli azionisti; sarà la tecnologia, invece, a fornire le soluzioni a qualunque impatto prodotto dal cambiamento climatico. “I modelli climatici non sono in grado di prevedere le conseguenze dell’innalzamento della temperatura”, sostiene Tillerson. “L’uomo ha una grande capacità di reagire alle avversità; quando i problemi si presenteranno, capiremo come risolverli”.

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