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Che fare all’Ilva. L’analisi di padre Occhetta (Civiltà Cattolica)

Di Francesco Occhetta
ilva di maio taranto

La bonifica ambientale continua a richiedere un investimento che la famiglia Riva, nonostante gli ingenti ricavi, ha scelto ancora di non sostenere. La corretta applicazione dell’Aia permetterà l’emissione di 22,1 grammi all’anno di diossine, il che equivale a circa la metà dell’intera produzione nazionale di questi inquinanti.

Eppure la bonifica può essere fatta. Ci sono esempi come l’industria siderurgica di VoestAlpine di Linz, fiore all’occhiello dell’industria austriaca, che ha saputo ridurre al minimo il suo impatto ambientale.

L’acciaieria produce quasi la metà dell’acciaio prodotto a Taranto e la città è la seconda più salubre dell’Austria. Un altro esempio è l’esperienza delle acciaierie coreane Posco, le quarte al mondo con 30 milioni di tonnellate di acciaio prodotte, che producono attraverso un processo tedesco avanzato chiamato «Finex» che «rispetto all’altoforno tradizionale, riduce l’inquinamento (90% in meno di sostanze tossico-nocive e 98% in meno di contaminazione dell’acqua), il consumo di energie e i costi di produzione (-15%). Molte delle sostanze cancerogene emesse impiegando il ciclo convenzionale sono, con il processo Finex, eliminate alla fonte».

Un’altra possibilità è quella di adottare il processo Corex, che si basa sull’impiego del carbon fossile al posto del coke e del minerale di ferro come fornito dalle miniere. È utilizzato a Shanghai e dalla Baosteel, che produce un milione e mezzo di tonnellate di acciaio all’anno. Ci sono esempi come quello della città americana di Pittsburgh e del bacino siderurgico e minerario della Ruhr, in cui la produzione non è nociva per la popolazione. Sono esempi di programmazioni pubbliche e private che hanno dato avvio a uno sviluppo locale alternativo basato sia sulla bonifica e sul recupero delle esternalità industriali sia sul rilancio dell’economia ecocompatibile.

Certo con i «se» e con i «ma» non si fa la storia. Se tuttavia lo Stato prima e la gestione privata poi avessero investito in prevenzione e modernizzazione, non saremmo giunti ai livelli di crisi in cui versa Taranto.

Occorre salvare il lavoro e ridurre l’inquinamento attraverso un nuovo patto sociale che superi l’Aia e coinvolga tutte le parti sociali e la politica nazionale. Su questo obiettivo anche la Magistratura — che giudica le azioni passate — può contribuire a far sì che Taranto trovi un suo equilibrio ambientale e possa guardare al futuro.

La situazione di crisi rischia di stagnare in nuova nazionalizzazione del siderurgico, i cui costi graverebbero sull’intera collettività. Ma un primo passo è possibile farlo insieme. Sanare il conflitto e spronare le coscienze, pacificare una comunità è un compito arduo, soprattutto in un tessuto sociale sfiduciato e impoverito, ma la sfida è questa, complessa quanto ineludibile.



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