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Bruxelles frena Pechino sullo status di market economy per la Cina

La concessione dello status di economia di mercato alla Cina non è automatica. Anche se Pechino è entrato a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) nel dicembre del 2001, non è detto che a distanza di 15 anni e, quindi nel dicembre del 2016, riceverà il disco verde da Bruxelles per lo status di market economy. A chiarirlo sono gli uffici del commissario al Commercio Cecilia Malmstrom contattati da Formiche.net.

DECISIONE DA PRENDERE

“Questa decisione richiederebbe una modifica legislativa che comunque andrebbe approvata sia dal Parlamento europeo sia del Consiglio”, dice Daniel Rosario, portavoce del commissario. In ballo ci sono “diversi aspetti sia legali sia economici”, aggiunge. Per questo la Commissione oggi non si sbilancia e parla di una “riflessione approfondita” che dovrà avvenire comunque “nel rispetto degli obblighi del Wto”. La precisazione è importante perché Pechino insiste sulla strada del riconoscimento implicito, essendo partner del Wto. In verità il negoziato è tutto in salita perché diversi paesi, tra questi anche l’Italia, non vogliono rinunciare a strumenti di difesa commerciale, come le misure antidumping che fino ad oggi hanno garantito una concorrenza commerciale. Sono noti infatti i metodi usati dal Celeste Impero per aggredire i mercati: basso costo del lavoro, mancanza di controlli stringenti sulla qualità, varie forme di sussidi indiretti e utilizzo di agevolazioni statali.

PRATICHE SLEALI

Pratiche sleali che hanno portato diverse potenze commerciali come Stati Uniti, Canada, Giappone e India a rifiutare lo status di economia di mercato. Aprire completamente i mercati significherebbe mettere in ginocchio interi comparti industriali. Basta ricordare un recente report dell’Economic Policy Institute di Washington che stima che nel giro di 3-5 anni l’Unione europea potrebbe perdere tra 1,7 e 3,5 milioni di posti di lavoro e veder diminuire la sua produzione annuale tra 114 e 228 miliardi di euro, rispettivamente pari all’1 e al 2% del Pil dell’Ue. In ordine, i Paesi più colpiti sarebbero Germania, Italia, Gran Bretagna e Francia.

LE CONDIZIONI ASSENTI

“Il fatto che non ci siano le condizioni oggettive per riconoscere lo status alla Cina è un dato incontrovertibile”, ha ricordato recentemente anche il viceministro dello Sviluppo economico con delega al Commercio estero, Carlo Calenda. “Questo è un fatto che non viene messo in discussione da nessuno a livello europeo. La discussione verte piuttosto sul punto, squisitamente legale, se questo riconoscimento debba avvenire comunque ed automaticamente nel 2016 in forza delle clausole di adesione al Wto. Il nostro parere è che tale obbligo non sussista”.

IL DEFICIT COMMERCIALE

Una sponda a questa interpretazione italiana adesso viene proprio dagli uffici del commissario Malmstrom. Anche se il negoziato è ancora lungo, e nessuno si augura una disputa commerciale tra Unione Europea e Cina, bisogna tuttavia fare i conti con i volumi degli scambi commerciali che parlano in modo chiaro. Nell’ultimo decennio l’import di prodotti cinesi nel Vecchio Continente è cresciuto di 5 volte passando da 74,6 a 359,6 miliardi di euro ed ha portato il deficit commerciale europeo con la Cina a oltre 180 miliardi di euro. Per questo abbassare del tutto il ponte levatoio potrebbe significare un’invasione di prodotti cinesi incontrollabile. Ma di questo il governo europeo ne è ormai consapevole.

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