Due donne candidate alla carica di sindaco nelle principali città del nord, Torino e Milano. Con la possibilità di piazzarne una terza nella competizione per Roma. Tutto questo mentre gli altri partiti – di destra, centro e sinistra – si arrovellano da settimane litigando su alleanze, modalità di scelta del candidato e strategie da seguire, in attesa che il solito papa straniero gli tolga le castagne dal fuoco. Vista da questa prospettiva, la scelta del Movimento 5 Stelle di anticipare tutti e scegliere i propri cavalli da corsa in tempi non sospetti, assicura un certo vantaggio alle truppe pentastellate. Tuttavia, nella selezione delle candidature di Torino e Milano non sono affatto mancati problemi e dissidi che hanno innescato mal di pancia interni, in parte silenziati secondo il classico canovaccio grillino, in parte venuti allo scoperto.
A MILANO SCONFESSATO IL CANDIDATO FAVORITO
La vittoria della 52enne disoccupata Patrizia Bedori alle primarie 5 Stelle di Milano è stata una sorpresa. Sicuramente per Gianluca Corrado, avvocato arruolato tra le truppe grilline nel 2012, e in prima linea nel fornire assistenza legale ai comitati di cittadini in lotta contro il Comune. Secondo il Corriere di Milano, era lui l’uomo su cui puntava il guru Gianroberto Casaleggio, così come – questa volta a fornire la ricostruzione è il Fatto Quotidiano – lo stesso unico consigliere 5 Stelle a Palazzo Marino, il giovane Mattia Calise, avrebbe caldeggiato questa opzione.
CASALEGGIO NON SI PRESENTA
Le urne però hanno stravolto le aspettative, tanto che Corrado sarebbe addirittura arrivato terzo. Il condizionale è d’obbligo perché di risultati ufficiali a più di 24 ore dalla chiusura dei seggi (le 18 di domenica) non ce n’è manco l’ombra. Di sicuro, chi non si è presentato alle urne allestite all’auditorium Valvassori Peroni è lo stesso Casaleggio, che era atteso con il figlio Davide. Forse non ha la residenza a Milano, è stata una delle giustificazioni addotte dal deputato Manlio Di Stefano. Dal canto suo, la vincitrice Bedori nella sua auto presentazione di lunedì 2 novembre davanti agli attivisti meneghini aveva chiaramente detto di “non conoscere nemmeno i corridoi della Casaleggio associati” e, rispondendo alle domande della platea, aveva rassicurato sul fatto che “non esiste nessuno che ci dice cosa votare e per chi”.
TRA FLOP DELL’AFFLUENZA E STRANI SILENZI
Ma quanti sono stati i grillini che domenica scorsa hanno votato alle prime primarie “fisiche” dei 5 Stelle celebrate a Milano? Impossibile saperlo con certezza, almeno fino alla serata di lunedì. Le cifre riportate dai giornali ballano tra i 320e i 350, comunque molto distanti dai circa 5.000 aventi diritto tra gli iscritti al blog di Beppe Grillo quantificati dal Giorno. Nessuna informazione è stata data ai giornalisti (e pure agli attivisti) dopo la conta dei voti, solo l’annuncio della vincitrice (manco l’ordine di arrivo), alla quale è stato concesso di proferire qualche parola al microfono poi subito è stata scortata via così da farle evitare le scomode domande dei giornalisti. Inevitabili, dal Pd sono arrivate critiche sulla mancata trasparenza di tali operazioni.
A TORINO LA CANDIDATA SCELTA SENZA PRIMARIE
Se a Milano i borbottii sono rimasti in sotto fondo, a Torino invece le polemiche all’interno dei 5 Stelle hanno preso una forma pubblica. La candidata sindaco è la battagliera consigliera comunale 32enne Chiara Appendino, bocconiana in dolce attesa e impiegata nell’azienda di famiglia (è esperta di contabilità e bilanci), ma soprattutto vera spina nel fianco dell’amministrazione comunale di Piero Fassino in questi anni (la Stampa l’ha definita “la Giovanna d’Arco che fa tremare Fassino”). Peccato però che non sia stata scelta consultando la base, né online né con le urne vere e proprie; l’hanno designata circa 250 grandi elettori dell’M5S, senza che ci fosse nessun altro sfidante.
LA POLEMICA SOTTO LA MOLE DIVENTA PUBBLICA
Ad aprire il fuoco ci ha pensato il compagno di banco della Appendino in consiglio comunale, l’ex candidato sindaco grillino e capogruppo Vittorio Bertola. Si era proposto di affiancarla come candidato vicesindaco, in un inedito ticket in salsa pentastellata. Ma lei, e a quanto pare la maggioranza dei grandi elettori, non ne hanno voluto sapere. Così lui ha esternato su Facebook, dove ha annunciato “l’intenzione di lasciare ogni incarico politico a fine mandato, a fronte della mancata fiducia nei miei confronti da parte di Appendino e del Movimento 5 Stelle”. “Mi sono offerto di aiutare Appendino in questa avventura come suo vice o comunque come parte della futura amministrazione, ma la proposta è stata da lei respinta – ha scritto in un altro post -. Riconoscendo di non avere più la fiducia del candidato sindaco e del Movimento 5 Stelle, ho dunque deciso di lasciare la politica alla fine del mio mandato da consigliere comunale”.
Come era facile prevedere, i post di Bertola hanno sollevato un polverone, con diversi attivisti pronti a ricordargli che in assemblea era stato votato di scegliere l’eventuale vicesindaco soltanto dopo le elezioni, distanti ancora 6 mesi. “Se non si è allineati – ha aggiunto il consigliere ribelle – ci si trova subito di fronte a una reazione collettiva aggressiva e sistematica, e a una pressione psicologica veramente pesante”.