Per la prima volta gli Stati Uniti hanno nominato un inviato internazionale per i diritti della comunità LGBTI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali). Il suo nome è Randy Berry, diplomatico di carriera e membro dell’organizzazione Glifaa (Gay e lesbiche nelle agenzie per gli affari esteri). Nella lista dei Paesi in cui ha svolto la sua missione di diplomatico figurano anche Uganda, Egitto e Bangladesh, notoriamente poco rispettosi degli orientamenti sessuali differenti dal comune. La creazione di questa nuova figura si inserisce nel solco di un interesse più generale da parte dell’amministrazione Obama per la tutela dei diritti di LGBTI, che da quest’anno hanno trovato posto anche all’interno della National security strategy 2015 il cui capitolo quarto, quello dedicato ai valori, fa esplicito riferimento alla necessità di tutelare le comunità vulnerabili e soggette a forme di violenza tra cui gli LGBTI.
Randy Berry ha così iniziato il suo percorso di sensibilizzazione internazionale fatto di viaggi e incontri orientati ad accrescere il concetto di eguaglianza e rispetto dei diritti umani. Durante la sua visita in Italia, in cui l’inviato di Obama ha incontrato parlamentari, delegati del Vaticano e ong, Randy Berry ha raccontato a Formiche.net lo spirito che muove il suo lavoro e quanto la questione dei diritti degli LGBTI influisca nelle relazioni internazionali degli Stati Uniti.
Barack Obama è stato il primo presidente Usa a dichiarare pubblicamente il supporto per la legalizzazione dei matrimoni gay e lei è la prima persona a ricoprire la carica istituita dal Dipartimento di Stato Usa per il riconoscimento e la protezione dei diritti umani delle persone LGBTI. Perché questo argomento è così importante per l’Amministrazione degli Stati Uniti?
Negli Stati Uniti c’è stata una crescente sensibilizzazione riguardo al tema dell’eguaglianza tra i cittadini. I cambiamenti avvengono quando ci sono persone di spessore al governo, nella società civile e nel mondo degli affari e credo che siamo davvero fortunati ad avere un presidente e altri leader che hanno iniziato a sollevare l’attenzione su questa tematica. Essere parte della comunità LGBTI è una parte naturale dell’esperienza umana. Non si parla di cose teoriche, ma di uomini e donne che sono nate in modo diverso e che meritano di avere uno stesso trattamento giuridico. Sia il presidente sia il segretario di stato John Kerry hanno dato il pieno appoggio alle conversazioni che intrattengo nei miei viaggi in giro per il mondo.
Quali sono i Paesi a cui fate riferimento?
Ogni Paese che criminalizza l’appartenenza alla comunità LGBTI costituisce una particolare preoccupazione per noi e, sfortunatamente, non si tratta di una lista breve. Si parla infatti di 75 Paesi nei quali esiste una qualche forma di legislazione che criminalizza l’appartenenza alla comunità. In molte di queste giurisdizioni le leggi non vengono applicate, in altre si e in alcune altre è prevista addirittura la pena di morte, come in Iran e in un paio di altri posti.
Parlando di Iran e considerando il recente accordo sul nucleare, come si inserisce la relazione degli Usa in riferimento al tema dei diritti di LGBTI?
Si tratta di tematiche molto diverse. Rispetto al nucleare credo che ci sia stato un passo avanti basato su un accordo che responsabilizza. Riguardo al tema LGBTI, non abbiamo intrapreso un percorso sistematico e non credo che avverrà nel prossimo futuro, ma la nostra policy resta sostanzialmente la stessa.
Ovvero?
In qualsiasi luogo del mondo, dall’Arabia Saudita all’Uganda alla Svezia, riteniamo che le azioni di violenza e discriminazione basate sul concetto di identità – di cui fa parte anche l’orientamento sessuale – rientrino tra le violazioni dei diritti umani. È un approccio molto semplice. Il nostro focus è globale e centrato soprattutto sui 75 Paesi in cui esistono forme di discriminazione e violenza, Paesi che rappresentano un’ampissima parte di mondo.
Chi c’è dietro la violazione dei diritti di LGBTI?
A volte si tratta di Stati, o si parla di azioni portate avanti da elementi della società, che in generale agiscono in un contesto di accondiscendenza da parte dei governi. In altri casi ci possono essere altri elementi coinvolti. È chiaro che dobbiamo guardare in modo diverso ai Paesi in cui siamo impegnati.
La tematica influenza anche la vostra politica estera?
Si.
Cosa pensa della Russia?
La Russia è chiaramente un’area preoccupante in cui l’attenzione si allarga anche ad altre questioni che riguardano la mancanza di libertà nella società civile.
La Chiesa e il Papa possono avere un ruolo?
Ho avuto degli incontri in Vaticano durante la mia permanenza in Italia e credo che parlando del coinvolgimento delle comunità di fedeli, cui appartiene anche la chiesa cattolica cristiana, così come le confessioni giudaiche o l’islam, la conversazione rimane la stessa. Abbiamo bisogno di rimanere coerenti in riferimento alle preoccupazioni legate alle violazioni e discriminazioni dei diritti umani. Chiaramente né la chiesa cattolica, né alcuna altra grande confessione religiosa appoggia forme di violenza e siamo perciò interessati a stabilire un dialogo, senza per questo mettere in discussione fede e credenze. C’è chiaramente una differenza quando la libertà religiosa si scontra con i diritti civili di una persona. Ma gli incontri avuti, focalizzati su violazioni e discriminazioni, sono stati costruttivi e abbiamo molti alleati con cui agire.
Quali consigli darebbe a coloro che si uniscono a questa battaglia?
Per rimanere focalizzati sul concetto di uguaglianza e dignità dei cittadini ai sensi della legge, credo che non si tratti solo di una questione legata ai diritti della comunità LGBTI, ma incide anche su altre comunità. I documenti fondanti delle nostre democrazie costituzionali fanno sempre riferimento al concetto di uguaglianza. Bisogna capire che dietro questi discorsi ci sono delle storie umane con un volto. LGBTI non deve essere un mondo sconosciuto di cui è facile avere paura. I membri della comunità possono essere nostri figli, fratelli, colleghi o amici, qualcuno che fa parte della nostra quotidianità.
Qual è la vostra sfida più grande?
Assicurarci che le persone vengano accettate per quello che sono.