Skip to main content

Unicredit, Intesa, Ubi. Chi finanzia il salvataggio delle banche

Di Andrea Di Biase
Ghizzoni Guerra

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo un estratto dell’articolo di Andrea Di Biase apparso su MF/Milano Finanza, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Intesa, Unicredit e Ubi Banca anticiperanno finanziamenti per complessivi 4 miliardi di euro (3,99 miliardi per la precisione) al Fondo di risoluzione delle crisi bancarie in attesa che venga completato il versamento da parte di tutte le banche del sistema del contributo straordinario necessario a capitalizzare il fondo stesso, cui da ieri fanno capo le quattro nuove banche buone (Banca Marche, Popolare dell’Etruria, Cr Ferrara, CariChieti) e la bad bank cui sono stati conferiti i crediti in sofferenza.

IL PIANO E I NUMERI

Lo schema seguito dal governo e dalla Banca d’Italia, d’intesa con la Commissione Europea, prevede il trasferimento dei crediti problematici dei quattro istituti (8,5 miliardi complessivi svalutati a 1,5 miliardi) a un’unica bad bank e la costituzione di quattro nuove banche pulite dalle perdite e ricapitalizzate dal Fondo di risoluzione. Quest’ultimo, in attesa che le banche del sistema procedano alla sua capitalizzazione e utilizzando il prestito ponte concesso da Intesa, Unicredit e Ubi, utilizzerà circa 1,7 miliardi a copertura delle perdite delle banche originarie, circa 1,8 miliardi per ricapitalizzare le banche buone (recuperabili con la vendita delle stesse), circa 140 milioni per dotare la banca cattiva del capitale minimo necessario a operare.

I NUOVI VERTICI

Sono stati nominati gli amministratori delegati delle quattro banche buone, che affiancheranno Roberto Nicastro (presidente di tutti e quattro gli istituti) e Maria Pierdichi (presente in tutti e quattro i board). Si tratta di Salvatore Immordino (CariChieti), Giovanni Capitanio (Carife), Luciano Goffi (Banca Marche) e Roberto Bertola (Etruria).

I FINANZIAMENTI E IL RUOLO DI CDP

L’operazione di salvataggio, che non ha visto l’impiego di denaro pubblico, vedrà dunque le tre grandi banche anticipare 780 milioni a testa, nell’ambito di un finanziamento da 2,35 miliardi a brevissimo termine, che sarà infatti rimborsato dal Fondo nel corso del mese di dicembre 2015 con i contributi che saranno versati dalle varie banche del sistema. Intesa, Unicredit e Ubi erogheranno poi un secondo finanziamento da 1,65 miliardi (550 milioni ciascuna) con scadenza a 18 mesi meno un giorno, a fronte del quale la Cassa Depositi e Prestiti «ha assunto un impegno di sostegno finanziario in caso di inadempienza del Fondo alla data di scadenza finanziamento».

GLI APPORTI DELLE BANCHE

Per quanto riguarda l’importo del contributo straordinario per le singole banca, Intesa Sanpaolo ha fatto sapere che la quota di sua competenza sarà di 380 milioni di euro ante imposte. Tale uscita sarà contabilizzata nel conto economico del quarto trimestre 2015, in aggiunta ai 95 milioni relativi al contributo ordinario al Fondo per il 2015 già spesati nel primo semestre. Per Unicredit il contributo straordinario, anche in questo caso da registrare nel quarto trimestre 2015, sarà pari a 210 milioni di euro, che si andranno ad aggiungere ai 90 milioni di contributo ordinario già spesati nel primo semestre. Ubi Banca dovrà accantonare entro fine anno circa 70 milioni (oltre ai 22,8 già messi a bilancio) come contributo da versare Fondo. In tutto, secondo quanto si apprende, il contributo di Ubi sarà pari a 91 milioni pre tasse. Mps dovrebbe versare invece 160 milioni in quattro anni, ma anticipati. «L’anno scorso avevamo già accantonato 60 milioni per Banca Marche, ne restano da accantonare 100», ha spiegato l’ad Fabrizio Viola.

LE CONTROPARTITE FISCALI

L’impegno «assai gravoso» (come definito dall’Abi) a carico delle banche italiane per il salvataggio dei 4 istituti di credito sarà in parte attenuato subito da alcune partite fiscali, peraltro dovute, che il governo ha permesso di ottenere grazie ad alcune modifiche legislative. Il primo aspetto è la possibilità di trasformare le imposte differite attive presenti nei bilanci delle vecchie banche, mandate in liquidazione, in crediti di imposta e quindi renderli fruibili dalle nuove banche. Il secondo aspetto riguarda invece tutte le banche del sistema che forniscono i contributi anticipati (oltre al 2015 anche i tre anni successivi) al Fondo che saranno deducibili ai fini Ires (ma non Irap) recuperando l’aliquota del 27,5%.


×

Iscriviti alla newsletter