La stagnazione macro prolungata ha portato i crediti dubbi a 350 miliardi di euro in Italia, che sono per il 55% non performing loans (Npl). L’affermazione, spaventosa, è contenuta in un report di Mediobanca Securities e se si guarda al ritmo di crescita il quadro assume tinte anche più fosche. “I crediti in sofferenza – scrive l’analista Antonio Guglielmi – sono cresciuti ad un ritmo del 25% annuo dal 2008, raggiungendo il 16% del totale dei crediti di oggi contro il 5% nel 2007. I segnali di ripresa immobiliare e il recente decreto sulla sofferenze hanno tagliato il differenziale del 25% denaro-lettera sulle sofferenze, da cui deriva la recente ripresa delle vendite di Npl da parte delle banche italiane”.
Le lezioni spagnola e irlandese
Ci sono due casi di scuola a cui l’Italia può appellarsi per decidere il da farsi. Si tratta della nazionalizzazione delle banche all’irlandese, il cosiddetto programma Nama e della soluzione spagnola alla bolla immobiliare, la Sareb. Il Nama ha perso 1,2 miliardi di euro in un anno, ma ha registrato tra i 200 e 450 milioni di profitti all’anno nel periodo 2011-2014. Al contrario, Sareb ha riportato perdite cumulate pari a 850 milioni nel biennio 2013-2014; senza considerare che “i 500 milioni di coperture extra chieste dalla Banca di Spagna la scorsa settimana – scrive Guglielmi – compensano i 400 milioni di beneficio che sarebbero dovuto discendere da un minor costo del funding nel 2015, posticipando quindi il pareggio di bilancio di almeno un altro anno, nonché innescando la probabile necessità di un recupero tramite la conversione di 3,6 miliardi di debito subordinato”.
Nama batte Sareb e offre spunti per la bad bank italiana
Alla fine dell’analisi Mediobanca ritiene che il Nama sia stato un progetto di maggiore successo rispetto alla Sareb: il primo programma infatti ha portato “il recupero dell’immobiliare irlandese; è stato caratterizzato da un portafoglio geograficamente diversificato; è dotato di garanzie di maggiore qualità; ha valori di trasferimento più bassi con conseguenti necessità di coperture inferiori; i costi di finanziamento sono più economici così come i costi amministrativi”. A questo progetto l’Italia potrebbe ispirarsi per realizzare la Asset manamegen company (Amc): la società veicolo in cui far confluire le sofferenze bancarie, o in altre parole, la nota e discussa bad bank. “L’Italia dovrebbe approfittare dei segni di risveglio del suo immobiliare – scrive ancora Guglielmi – e del recente decreto sugli Npl e utilizzare qualsiasi flessibilità di capitale di cui le sue banche sono capaci per abbassare i valori di trasferimento in modo da chiudere completamente il gap tra domanda e offerta”. E non appensatire di alcuna perdita i bilanci bancari.
Scenario favorevole per liberarsi dalle zavorre
Le vendite di Npl di 8 miliardi di euro nella prima metà del 2015 (il 17% dei disinvestimenti UE) sembrano destinati a raddoppiare entro la fine dell’anno, secondo Mediobanca, portando il livello al doppio del 2014 e a tre volte rispetto al biennio 2012-2013. Ma ancora non basta. “Stiamo parlando – precisa l’analista di Mediobanca – di un valore che è pari al 4% dello stock delle sofferenze italiane, contro il 20% dismesso dal Regno Unito, il 31% in Irlanda e il 12% in Spagna. Gli abs venduti sono raddoppiati rispetto al 2014 al 65% del totale”. La ripresa dell’immobiliare arriva subito dopo questo balzo: le vendite di case sono aumentate dell’8% su base annua nel secondo trimestre, rispetto al -3% del primo trimestre e sono viste a 446mila unità per fine anni, ovvero il 10,6% su base annua nel secondo semestre dell’anno. “Ancora sotto il livello normale di 600mila o i 900mila di prima della crisi – scrive Guglielmi – Ci aspettiamo un’ulteriore accelerazione nell’erogazione dei mutui. Per avere un cielo sereno, i mutui erogati dovrebbero ammontare a 18 miliardi l’anno, ovvero un ritmo di crescita su base annua del 5% rispetto allo 0% registrato a luglio”.
Cedere Npl e liberare pezzi di CeT1
Le banche italiane potrebbero massimizzare la loro posizione patrimoniale principalmente con la vendita di Npl di tipo sub-standard, deconsolidando 39 miliardi di euro di sofferenze lorde, il 27% del totale. Ciò porterebbe al CeT1 un beneficio che va dagli 11 punti base per Mps ai 102 per Bper. “Se queste sofferenze fossero venduta a un Amc come riportato dalla stampa – scrive ancora Guglielmi – e le banche fossero vincolare a detenere una partecipazione nel capitale di questo veicolo, lo scenario ottimale dipenderà dallo spazio di manovra rispetto al cuscinetto di Basilea 3 eccedente la soglia del 10% di CeT1 per comprare quote di capitale non rilevanti. Il CeT1 aggiuntivo varia dai 7 punti base per Intesa ai 62 per Creval”.
Creval, Bpm, Sondrio, Bper e Ubi: ecco chi vince
Le banche con elevata quota di sofferenze sub-standard e basse quote di partecipazione azionarie non rilevanti sono meglio posizionate quanto a disponibilità di cuscinetto di capitale da conferire nel veicolo che acquisterà gli Npl. “Si tratta di Creval, Bpm, Popolare di Sondrio, Bper e Ubi – conclude Guglielmi – In media le banche italiane possono ottenere un 4% di copertura ulteriore deconsolidando parte degli Npl con un impatto neutro sul capitale”.