S’inizia a capire meglio qualcosa in più sul salvataggio di quattro banche commissariate deciso con un decreto del governo grazie al fondo di risoluzione gestito dalla Banca d’Italia. Beninteso, il salvataggio è ad opera del sistema bancario per circa 4 miliardi di euro, parzialmente finanziato da un prestito ponte di 18 mesi erogato da Unicredit, Intesa e Ubi. Però pure lo Stato, pur non mettendo formalmente denaro sonante, ci mette del suo: con gli sgravi Ires su una parte dei 3,6 miliardi di aiuti girati da via Nazionale e alla garanzia della Cassa depositi e prestiti (controllata dal Tesoro).
Tutto chiaro, dunque? Non del tutto. Perché la parola salvataggio può indurre a qualche equivoco. In verità a piangere per l’operazione, ritenuta inevitabile per la pessima gestione dei quattro istituti che erano stati commissariati, sono gli azionisti delle banche che hanno perso tutto l’investimento e pure gli obbligazionisti subordinati.
Qualche numero è utile. Sono oltre 130 mila i piccoli soci (60mila dell’Etruria, 40mila di Banca Marche, 24mila di Carife e altre diverse migliaia in Cassa di Chieti) che hanno perso tutto. Oltre alle fondazioni di Banca Marche, Carife e Carichieti che “hanno speso oltre 400 milioni sulla base dei bilanci 2014”, ha calcolato Nicola Borzi del Sole 24 Ore nel supplemento Plus.
A piangere ci sono anche decine di migliaia di piccoli risparmiatori che avevano in portafoglio le obbligazioni subordinate, alcune saranno azzerate, altre finiranno nella bad bank e andranno in liquidazione. Anche in questo caso un po’ di numeri rendono meglio l’idea del tonfo. Secondo i calcoli fatti da Reuters in base ai codici Isin indicati dalla Banca d’Italia, il valore dei Bond subordinati delle quattro banche “azzerati” con la risoluzione è di 638 milioni, mentre poco sopra i 275 milioni quello dei Bond che vanno nella liquidazione.
Insomma, il salvataggio cela una mazzata non indifferente per piccoli e grandi risparmiatori. Certo, si può ben dire – come ha fatto ieri sul quotidiano la Repubblica l’economista Alessandro Penati – che gli azionisti erano consci del rischio. Non solo: “Hanno nominato loro i vertici che hanno distrutto le banche, e i consiglieri che avrebbero dovuto vigilare. Fare il socio non significa solo poltrone e potere, ma responsabilità e rischi”. Chi è causa del suo mal pianga se stesso, dunque?
Su Formiche.net, ben prima che i banchieri si destassero a denunciare pubblicamente i diktat di Bruxelles su inesistenti aiuti di Stato che si celavano dietro gli interventi in cantiere del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd), è stata rimarcata la teutonica follia della Commissione Ue, piuttosto strabica peraltro quando in Germania si continua a salvare le banche anche con soldi statali. Evidentemente hanno buon gioco ora coloro che in Italia sollecitavano – quando Bruxelles chiudeva un occhio – di varare una bad bank sistemica sulla scia di quella spagnola.
Ma quello che è stato è stato. Non si possono però sottovalutare le ripercussioni anche psicologiche della mazzata ai risparmiatori che arrivano dalle quattro banche spacchettate. D’ora in poi aumenterà o diminuirà la fiducia verso gli istituti di credito? Domanda retorica? Può darsi.
Ma la mazzata non è arrivata da zone del sud intrise di familismo amorale, in tessuti produttivi slabbrati, con una imprenditoria raffazzonata e una borghesia predatrice. È successo, invece, in quattro città come Arezzo, Ancona, Ferrara e Chieti. Dove la Vigilanza di Bankitalia è rimasta stupefatta (eufemismo) per la superficialità (eufemismo) di come (non) si tenevano i conti di crediti e di sofferenze.
Eppure – si bisbiglia in ambienti finanziari – alcuni degli stessi alti funzionari di Palazzo Koch che non avevano vigilato in passato come si doveva nelle quattro banche poi commissariate ora si occuperanno delle quattro bad bank nate sulle ceneri di Banca Etruria, Banca Marche. Cassa di Ferrara e Cassa di Chieti.
(BANCA ETRURIA E GLI SMS DI RENZI A DE BORTOLI. FATTI E INDISCREZIONI)