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Parigi, ecco sfide e rischi della Conferenza sul clima

Di Catia Bastioli

L’iniziativa del governo italiano relativa agli Stati generali sui cambiamenti climatici e la difesa del territorio ha aperto un percorso che dovrebbe portare a una forte iniziativa italiana in sede europea, affinché l’Ue torni ad avere – al di là dell’asse Usa-Cina – un ruolo trainante nella diplomazia climatica, con proposte per azioni ambiziose e vincolanti nelle trattative per il nuovo accordo globale sul clima. Se ciò non dovesse avvenire, a Parigi 2015 si rischierebbe un accordo al ribasso, essenzialmente cosmetico, e una nuova marginalizzazione dell’Europa sulla scena globale. Il cambiamento è necessario e bisogna proporre un modello capace di coniugare economia della conoscenza, efficienza nell’uso delle risorse, rispetto per la biodiversità e per la qualità dei territori e filiere lunghe locali, reinventando il modo di produrre e di consumare i beni e i servizi. Un nuovo modello di sviluppo, insomma, basato sulla bioeconomia, intesa come rigenerazione territoriale, che parta dal concetto di “regioni sostenibili”, inserendo quello di “limite nello sviluppo”.

Il maggiore ostacolo al cambiamento, proba­bilmente, è il nostro mindset. Tuttavia, l’Italia ha in sé molti elementi in questa direzione: stanno nascendo casi di economia di sistema in molte aree come in quelle dei rifiuti, dell’efficienza energetica, dell’uso efficiente delle risorse, della chimica da fonti rinnovabili e delle filiere agroalimentari. Il nostro Pa­ese può candidarsi a diventare un campione positivo di modello sostenibile di sviluppo, caratterizzato da progettualità condivise tra settori e interessi diversi, orientati verso la soluzione di problemi comuni in formidabili occasioni di riconversione, applicando nuovi standard di sistema e lavorando sull’accesso al credito. Tra le aree di interesse rientrano, ad esempio, il dissesto idrogeologico, le aree inquinate, le terre abbandonate, l’inquinamento delle città, l’illegalità nel campo alimentare e nei settori dell’innovazione.

L’agenda italiana va connessa con quella europea nel breve e medio termine. Il fatto che il settimo Environmental framework action program dell’Ue, il Framework finanziario 2014-2020, la Strategia europea 2020 e Horizon 2020 facciano riferimento allo stesso periodo offre un’opportunità unica per sfruttare sinergie tra le politiche, gli investimenti e le attività di ricerca, a supporto della transizione verso la green economy. La presentazione del pacchetto sull’economia circolare da parte della Commissione, la conferenza di Parigi sul clima, i programmi di sviluppo rurale delle regioni, il piano Juncker per gli investimenti e la nuova strategia sull’Unione energetica sono ulteriori opportunità da non perdere entro il 2015, per reimpostare la nostra strategia di produzione e consumo. Costruire una società a basse emissioni di carbonio, basata su un’economia circolare e su ecosistemi resilienti, può porre l’Europa alla frontiera della scienza e della tecnologia, rilanciandone la competitività. Ma questo richiede un grande senso di urgenza e azioni coraggiose. In tal senso il Green act appare come una grande opportunità. Nell’ambito della green economy, inoltre, è fondamentale l’affermazione di un’econo­mia circolare basata sull’utilizzo efficiente delle risorse rinnovabili. La bioeconomia in Europa vale 2mila miliardi di euro e dà lavoro a oltre 22 milioni di persone.

L’Italia è all’avanguardia nel settore. Per mille ton­nellate di biochemical, ad esempio, si possono creare 60 nuovi posti di lavoro. Il futuro è nel collegamento tra le imprese e i territori, tra la ricerca, l’industria e l’agricoltura. Il sostegno deciso alla bioeconomia – con un piano adeguato, come già fatto da molti Paesi europei – dovrebbe essere una priorità dell’azione del governo. Un primo fondamentale obiettivo dovrebbe consistere nell’avvio di un concreto progetto che raggiunga in tempi rapidi l’obiettivo di zero rifiuti organici e zero prodotti riciclabili in discarica. Andrebbero definiti standard di sistema adeguati; in questo senso, l’approccio europeo del Profilo ambientale di prodotto (Pef) dovrebbe essere opportunamente declinato, ponendo soglie chiare per l’azzeramento dell’impatto in settori critici, che possano aiutare a modificare più rapidamente le abitudini di produzione, consumo e smaltimento. Altro punto essenziale è la reale e convinta applicazione del Green public procurement (Gpp), reso ob­bligatorio per i prodotti acquistati dagli enti pubblici. Infine, occorre un approccio stringente sul rispetto della legalità, in particolar modo con attenzione ai prodotti dell’innova­zione che richiedono grandi investimenti e i cui benefici, senza un controllo adeguato di sistema, possono facilmente essere vanificati o pesantemente ritardati. L’Italia può coprire il proprio fabbisogno energetico con l’uso efficiente delle risorse – l’efficienza energetica e le rinnovabili – facendo in modo che le nuove iniziative industriali nascano decarbonizzate. Si dovrebbe varare un piano straordinario, con obiettivi vincolanti per l’efficienza, che garantisca nuova occupazione attraverso la riqualificazione di interi edifici e quartieri con soluzioni finanziarie innovative.

L’indipendenza energetica dell’Europa non può che avere come pilastri l’uso efficiente delle risorse, le energie rinnovabili, l’interconnessione e lo sviluppo dei prosumer. Siamo di fronte a sfide senza precedenti. Come lo è stata, a metà degli anni 80 del secolo scorso quella della progressiva distruzione dello strato di ozono. Nel 2014 i risultati del monitoraggio sugli effetti del trattato di Montreal del 1987 – sottoscritto da quasi tutti i Paesi – ha evidenziato che, grazie all’azione internazionale concertata, la situazione è significativamente migliorata con il ritorno dello strato di ozono ai livelli degli anni 80 previsto entro il 2050. Un’altra dimostrazione che unendo le forze è possibile cambiare le tendenze in atto. La crisi, per un certo verso, è il risultato della nostra in­capacità di cambiare modello. Se le politiche non saranno in grado di trarre vantaggio da quanto realizzato fino a oggi, i costi dell’inattività saranno drammaticamente elevati.

 

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