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Parigi, vi spiego la posizione della Francia sulla Conferenza per il clima

Di Ségolène Royal

Lo scorso ottobre, sotto la presidenza italiana del Consiglio europeo, i 28 Stati membri dell’Ue si sono accordati per inviare al segretariato dell’Onu il proprio impegno in riferi­mento agli obiettivi della Cop21 di Parigi. Dal momento che i modelli energetici degli Stati membri sono molto diversi gli uni dagli altri, non è stato semplice ottenere tutte le adesioni, ma ci si è impegnati tutti sull’obbligo di ridurre le emissioni di gas del 40%. La Francia ha un compito difficile da compiere in vista di Parigi 2015, in cui ci si attende che i 196 Paesi membri della Cop21 sottoscrivano un accordo vincolante, sostenibile ed evolutivo. Anche gli impegni finanziari sono rilevanti: nella conferenza di Copenhagen ci si impegnò a mobilitare 100 miliardi di euro entro il 2020, denaro non solo proveniente da fondi pubblici, ma generato attraverso imprese, banche e fondi d’investimento. La Finance climate week, dopo la Business climate week, ha dimostrato la forte mobilitazione di questi settori, che hanno compreso come sia necessario investire nella transizione ecologica e negli altri obiettivi della Cop21, nonché sui singoli obiettivi nazionali che daranno contenuto concreto a questo accordo. A tal proposito, è bene richiamare l’Agenda delle soluzioni, un documento che permetterà a ogni Paese di spiegare come intende attuare concretamente questa transizione ecologica attraverso le politiche nazionali per la messa in moto dei territori.

L’Enciclica di Papa Francesco rammenta la necessità di difendere il clima: questa è la sfida urgente a tutela della nostra casa comune, per cui è richiesta l’unità dell’intera famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale. Quest’ultimo aggettivo è cruciale, in quanto rimette al centro della questione climatica il tema delle ingiustizie e della lotta alla povertà. Viviamo in un momento storico di presa di coscienza che va nella buona direzione. In primo luogo bisogna rendersi conto che su scala planetaria nessuno è risparmiato dal cambiamento climatico. L’innalzamento del livello del mare minaccia gli Stati insulari, i delta dei fiumi, le città costiere. Allo stesso modo, la siccità colpisce ogni latitudine. Gli eventi meteoro­logici estremi si moltiplicano, perciò bisogna capire che la questione climatica si intreccia col tema della sicurezza mondiale. Quest’argomento è sostenuto da Barack Obama negli Stati Uniti in cui, come hanno evidenziato le reazioni all’Enciclica del Papa, permangono alcuni scetticismi che bisognerebbe continuare a sconfiggere. Già si verificano conflitti connessi con lo spostamento massiccio di popolazioni a causa dell’aumento della siccità; scoppiano guerre per il controllo dell’acqua potabile e l’accesso alle risorse naturali; hanno luogo esodi rurali massicci, dovuti alla progressiva desertificazione, e scontri per la pesca in seguito al deterioramento delle ri­sorse ittiche. L’emigrazione della miseria è all’origine di tensioni sociali e politiche molto gravi.

La questione climatica, dunque, è un fattore di destabilizzazione a livello internazionale e questo è un motivo in più per agire. In secondo luogo, è risaputo che l’inazione climatica è molto più costosa dell’azione. Per lungo tempo si è pensato che l’ecologia fosse contrapposta all’economia; oggi vari studi e rapporti economici dimostrano il contrario. In terzo luogo, agire per il clima significa an­che creare valore aggiunto, ovvero ricchezza, occupazione e nuova prosperità sia per i Paesi poveri sia per quelli sviluppati, chiamati a realizzare la terza rivoluzione industriale: cli­matica, digitale, ecologica. Bisogna compiere un salto qualitativo nel campo della chimica, degli ecocarburanti, dei materiali bio-based, dell’efficienza energetica degli alloggi, dell’agricoltura verde, dello stoccaggio delle energie intermittenti e così via. La green economy combina la creatività e l’innovazione al servi­zio del progresso umano dell’Europa, che può diventare il continente d’avanguardia della tecnologia nell’ambito della crescita sostenibile. Le soluzioni esistono e sono osservabili sul territorio: in questo ambito, spesso, le nostre Regioni sono più avanzate degli Stati, perché effettuano materialmente transizioni economiche ed energetiche, quali trasporti puliti, efficienza energetica e lotta contro gli sprechi. Viceversa, è l’impulso dello Stato che consentirà di accelerare il progresso. In Francia abbiamo 400 territori a energia positiva – istituiti con la legge di transizio­ne energetica verso una crescita verde – che dovranno produrre più energia di quanta ne consumino.

A Parigi ci si aspetta di raggiungere l’accordo tra Stati membri dell’Onu, di istituire il Fondo verde mediante cui reindirizzare flussi finanziari verso economie a basse emissioni di carbonio, nonché di radunare le grandi imprese quotate in borsa, le reti di Pmi e dei sub-fornitori. Questi sog­getti hanno richiesto un prezzo del carbonio: dare al mercato il segnale del prezzo, rispetto all’impegno di decarbonizzazione dell’economia, è una novità. Un rapporto sull’argomento, recentemente consegnato alla presidenza francese, raccomanda la creazione di un cor­ridoio di convergenza dei prezzi del carbonio a livello mondiale. Nell’ambito di un seminario che verrà organizzato con economisti di diversi Paesi, si dibatterà su come il prezzo internazionale possa rendere più redditizi gli investimenti nella transizione ecologica ed energetica, in particolare accelerando i trasfe­rimenti di tecnologie. Ong, famiglie, comunità spirituali e religiose, aziende e cittadini: la mobilitazione della società civile in tutto il mondo riveste un’importanza decisiva. Garantire ai singoli l’accesso all’informazione è la chiave per il loro coinvolgimento che, a sua volta, permette la possibilità di un’azione. La responsabilità di molti discorsi e poche azioni che incombe oggi su di noi ci deve portare ad assumere decisioni operative, come ha recentemente indicato papa Francesco nella sua Enciclica. Ogni essere umano ha due patrie: la propria e il pianeta. Oggi ci si rende conto che essere al servizio della patria nazionale, ossia impegnare i Paesi nella transizione energeti­ca ed ecologica, rende possibile al contempo servire gli interessi dell’intero pianeta.

Estratto dall’intervento degli “Stati generali sui cambiamenti climatici” per gentile concessione dell’autore

 

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