Il decreto legge 183/2015, licenziato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 22 novembre, che ha salvato, in una sola notte, la Cassa di risparmio di Ferrara, la Banca delle Marche, la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio e la Cassa di risparmio della Provincia di Chieti è un provvedimento costituzionale? La domanda non è peregrina, considerato che l’articolo 47 della Costituzione “tutela il risparmio in tutte le sue forme” mentre il provvedimento approvato dal governo provoca un danno agli obbligazionisti ed azionisti per circa 300 milioni di euro.
Le stime, purtroppo ancora approssimative, parlano, infatti, di oltre 130mila risparmiatori che hanno perso tutto: tra questi, molti sono piccoli imprenditori e artigiani che hanno perduto, dalla sera alla mattina, tutti i loro risparmi faticosamente messi da parte nel corso della loro vita lavorativa. In altri casi famiglie normali e pensionati che hanno visto sottrarsi in poche ore tutti i loro risparmi. I giornali descrivono scene di persone anziane in lacrime all’uscita delle filiali, dopo aver appreso dagli addetti agli sportelli che non vedranno mai più indietro i loro risparmi, di figli che non sanno come dire ai loro padri che i risparmi di una vita sono stato loro espropriati per decreto. Come è potuto accadere tutto questo? Tentiamo di capire.
Il decreto legge 183/2015 discende dalla nuova legislazione europea in materia di risoluzione delle crisi bancarie, appena introdotta nel nostro ordinamento dal decreto legislativo 180/2015, il quale recepisce la direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014 scorso. Per effetto di questa normativa, lo Stato non potrà più intervenire per salvare le banche in dissesto finanziario; queste, d’ora in avanti, potranno essere salvate solamente attraverso le risorse prelevate dagli azionisti, obbligazionisti e depositanti, al di sopra dei centomila euro.
Se il principio è sostanzialmente condivisibile, al fine di evitare che altri casi come quello del recente salvataggio del Monte dei Paschi di Siena pesino nuovamente sui portafogli dei contribuenti, ciò che è inaccettabile è il fatto che il salvataggio avvenga a danno di azionisti, obbligazionisti e risparmiatori i quali, al momento di sottoscrivere un rapporto con la propria banca, per nulla potevano immaginare che i loro soldi avrebbero potuto essere loro sottratti per ricapitalizzare la banca in dissesto. In altre parole, avrebbe senso se il meccanismo di risoluzione dei fallimenti venisse applicato soltanto per i contratti sottoscritti dopo l’entrata in vigore della normativa. Farlo valere per quelli già sottoscritti da anni, invece, rappresenta un vero e proprio furto legalizzato, contrario a qualsiasi principio di logica, buona fede e correttezza negli rapporti giuridici.
Sarebbe auspicabile che il Parlamento inasprisca le pene per quei banchieri che hanno causato tutto questo: episodi di malagestione, truffe, credito facilmente erogato ad imprenditori consenzienti che non avevano alcun merito di credito, non possono più essere tollerati, alla luce del cambiamento di rotta preteso dall’Unione Europea con la banking union. Non è accettabile che le modifiche normative vadano a colpire solo i risparmiatori, che sono le vittime, e non gli amministratori, che sono i colpevoli.
E’ altamente probabile che il salvataggio delle quattro banche avvenuto con il d.l. 183/2015 possa dare il via a numerose cause legali contro i loro amministratori, che per anni hanno sperperato il denaro che avrebbero dovuto amministrare con cura e oculatezza con operazioni intollerabili. In queste ore, le associazioni in difesa dei consumatori sono subissate da richieste di risarcimento danni, il che fa presagire che potremmo assistere, a breve, alla più grande class action mai sollevata contro le banche. Consapevoli dell’importanza che il piccolo risparmio ha sempre avuto, ha e sempre avrà per l’economia e la società italiana, cominciamo a rimettere a posto il sistema bancario punendo chi l’ha portato alla rovina e non il piccolo risparmiatore che ha dovuto subire conseguenze che non era tenuto a dover pagare.
Dott.ssa Valentina Napoleoni
Collaboratrice Studio Paci, Milano