Il 2015 si chiude con una storica decisione monetaria: lo yuan-renminbi, la moneta del popolo cinese, entra nel canestro delle monete “perfettamente convertibili” che concorrono a determinare il valore della “moneta immaginaria” moderna, i diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale (gli Sdr nell’acronimo inglese). La moneta non coniata, o immaginaria, fu inventata da Carlo Magno che verso la fine del VII secolo pose fine al disordine monetario del tempo indicando che una libra d’argento (434,16 grammi) fosse pari a 240 monete, senza che la libra fosse mai stata creata, né lo sarebbe stata. Gli Sdr sono la nuova moneta immaginaria il cui valore è dato dalla media dei cambi del dollaro Usa, dell’euro, dello yen giapponese e della sterlina inglese, alle quali si aggiunge oggi il renminbi, ponderata per il peso delle rispettive economie.
La condizione per partecipare al canestro delle principali monete prevista dallo Statuto del Fondo monetario internazionale è che la valuta sia perfettamente convertibile nelle altre principali monete. Questa non è la condizione del renminbi, la cui accettazione è pertanto una finzione che contrasta con lo Statuto del Fmi; a questa accusa la direttrice Christine Lagarde ha risposto affermando che la Cina ha raggiunto un ruolo importante nei movimenti di capitali globali e nel commercio mondiale, quindi, era giusto che la sua moneta facesse parte del paniere di calcolo degli Sdr. Non credo sia questa la ratio perché l’accordo di Bretton Woods aveva previsto che i movimenti di capitale dovessero essere controllati per conciliarli con i cambi fissi e piena convertibilità tra monete (una volta in oro, ma dal 1971 solo tra di loro), proteggendo l’indipendenza della politica monetaria. La Cina ha un regime monetario internazionale in linea con lo spirito di Bretton Woods, anzi essa è molto più vicina a esso di quanto non lo sia gli Stati Uniti. Il problema è quindi la convertibilità imperfetta, un test al quale le autorità cinesi devono ottemperare, ben sapendo che nelle relazioni internazionali gli accordi si rispettano se convengono e si violano se accade l’opposto. Gli Stati Uniti, infatti, nel 1971, hanno violato l’Accordo di Bretton Woods sulla convertibilità del dollaro in oro e i cambi fissi.
Ciò premesso, il membri del Fmi hanno fatto bene a includere il renminbi tra le monete di calcolo del valore degli Sdr, ma essi devono provvedere a vigilare seriamente sul rispetto della convertibilità che la Cina promette di praticare, perché con la loro decisione hanno creato un altro grave pericolo per la stabilità finanziaria del mondo. Infatti si deve ritenere che sul mercato internazionale ci sarà un afflusso significativo di titoli denominati nella moneta cinese, sul cui collocamento le finanziarie globali faranno grandi guadagni, ma li collocheranno nel portafoglio dei risparmiatori senza questi abbiano una garanzia formale che essi saranno rimborsati alla scadenza in una valuta convertibile in dollari o altra valuta del canestro. È un rischio che non va sottovalutato, ma che non ha oggi un centro di controllo.
La scelta fatta pone quindi un’altra pietra tombale sulle tradizioni monetarie del mondo. Ormai non siamo più governati da leggi – e anche lo Statuto del Fondo lo è – ma da uomini, i quali decidono quella che secondo loro è l’interpretazione delle norme, mentre ciò che di fatto praticano è il loro superamento.
Si usa il termine realpolitik, non a caso circolato in tedesco, ma di fatto è la fine dello Stato di diritto, soprattutto internazionale, che invero non è mai stato tale, né sembra possa diventarlo, perché come diceva il nostro Giolitti, la legge per gli amici si interpreta e per i nemici si applica. È evidente che i cinesi sono ormai diventati nostri amici, cosa che non può se non far piacere, ma occorre porre molta attenzione sullo scivolamento verso forme che hanno poco di democrazia e molto di mercato governato dalle autorità, ossia un mercato non competitivo dove qualcuno fa il prezzo e decide cambio e convertibilità della propria moneta. Nei primi assegnat emessi dopo la Rivoluzione francese vi erano due icone: sulla sinistra in alto, la libertà con in mano la legge e, sulla destra, sempre in alto, il re che la osserva. Come noto prevalse la decisione di decapitare il re, negando uno dei fondamenti del sistema delle libertà, quello del diritto alla vita, e la legge non è più frutto della libertà, ma del combinato effetto del potere pubblico e del grande capitale, in gran parte finanziario. Non si sente una voce che ricorda questo fondamentale principio di civiltà.
Con la politica monetaria stiamo conducendo in tutto il mondo sperimentazioni ardite, una volta temute per l’inflazione che esse avrebbero dovuto causare, un’interpretazione olistica (cioè con una parte si ritiene di spiegare il tutto) che ha sempre fatto comodo alle banche centrali per ottenere e mantenere l’indipendenza dalla democrazia; oggi invece la moneta è considerata lo strumento con cui si permette all’economia di uscire dalla crisi produttiva, altro infondato olismo. Le banche centrali stanno muovendosi verso un futuro incognito, potenzialmente disastroso, dopo aver raccolto il testimone della corsa iniziata dalla finanza innovativa, chiamando “non convenzionali” le loro scelte di creazione monetaria in eccesso rispetto ai bisogni della produzione e del commercio, mentre esse sono solo la vecchia forma accomodante; questa politica fa credere che chi ha moneta, come chi ha altre forme finanziarie, possiede ricchezza come chi ha beni produttivi o reali, mentre dietro ognuna attività finanziaria vi è una passività di cui qualcuno dovrà pur rispondere, mentre la ricchezza reale è un rapporto che si esaurisce nel binomio “uomo-proprietà”. Si rischia così una brutta crisi. L’Europa si è mossa per prima emanando una direttiva secondo cui anche i depositi bancari di minore importo possono non essere rimborsati in caso di crisi della banca che li detiene, peggio per il risparmiatore che non è stato attento alla gestione della banca dove detiene la sua moneta. I funzionari responsabili, non di rado ben pagati, se ne lavano le mani. Ritengo che, a queste condizioni, il sistema dei pagamenti debba passare nelle mani dello Stato, dato anche che esso si avvia a divenire interamente elettronico, distinguendo la domanda di moneta da quella di attività finanziarie.
Un mondo composto da persone responsabili è un mondo libero per definizione. Nella seconda parte del XX secolo i popoli civili hanno deciso di darsi garanzie collettive, chiamandole welfare. Si è certamente esagerato e si va provvedendo a riportare in equilibrio l’uso delle risorse tra settore pubblico e privato, ma una crisi di mercato gonfio di moneta e titoli di credito a causa della maggiore creazione di base monetaria da parte di tutti i paesi le cui monete sono nel paniere degli Sdr – quella che oggi viene chiamata da alcuni quantitative easing, ma è praticata da tutti – snatura la funzione tradizionale delle banche centrali, ivi inclusa quella peculiare del Fmi, e carica il sistema di rischi senza avere un’idea di come affrontarli se dovessero approfondirsi in intensità. Questo sbocco venne chiamato da Keynes “eutanasia del risparmiatore”, ma trovava giustificazione sul piano etico nella dimostrazione che il sacrificio del rendimento, non del valore capitale, richiesto ai piccoli risparmiatori servisse per superare le difficoltà produttive e occupazionali; aveva cioè uno scopo vantaggioso per tutti, che oggi una politica di mera immissione monetaria non possiede, perché impone un sacrificio senza contropartita.
Si sostiene che il Qe degli Stati Uniti ha ben funzionato e, quindi, anche quello europeo e giapponese, oltre quello cinese, dovrebbero operare dando gli stessi vantaggi. La realtà è che gli Stati Uniti e la Cina hanno immesso direttamente nella domanda aggregata la base monetaria di nuova creazione, mentre l’Eurosistema non lo ha fatto e ha mirato soprattutto a stabilizzare i debiti sovrani dell’Euroarea e a dare ossigeno alle borse valori, sperando che la ripresa produttiva seguisse; però, ancor prima di verificare l’efficacia dell’intervento, si è vantata dei risultati raggiunti soprattutto a seguito della svalutazione dell’euro che ha stimolato le esportazioni aumentando la crescita reale di poche decine di punto, dato la domanda estera non pesa più di un quarto/quinto del Pil totale.
La Cina, che va attraversando un periodo delicato di crescita economica e di squilibri monetari e finanziari, entra nel club di coloro che non sanno quale sarà il futuro delle attività finanziarie che esse hanno contribuito e continueranno a creare. La scelta di accettare il renminbi nel canestro delle valute che concorrono a formare il valore degli Sdr non è, come è stato scritto, simbolico, almeno secondo l’uso fatto di questo termine. Lo è come attestazione del fatto che la globalizzazione richiede che tutti abbiano le mani sul tavolo. Il rapporto tra la ricchezza finanziaria e quella reale è sproporzionato. Ciò è dovuto al fatto che gli Statuti monetari vengono violati un po’ da per tutto e il mondo non è più governato da leggi, ma da uomini che decidono di interpretarle senza modificarle. Un solo sbocco di questa situazione appare chiaro: l’agnello sacrificale sarà il piccolo risparmiatore, senza che un dio fermi la mano delle autorità. Non è una grande novità, ma è giusto almeno ricordarlo.