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Banca Marche, Etruria, Chieti e Ferrara. Cosa pensa Bankitalia

Abbiamo vigilato, ma non avevamo poteri di sostituire i vertici delle banche. Abbiamo appoggiato il piano del Fondo interbancario di tutela dei depositi per intervenire nel capitale degli istituti commissariati, ma la Commissione europa inspiegabilmente ha detto no. Quindi ora gestiamo il Fondo di risoluzione e bene ha fatto il governo ad approvare il decreto perché altrimenti il costo del salvataggio sarebbe stato a carico anche dei creditori e degli obbligazionisti, mentre ora a pagare saranno “solo” azionisti e obbligazionisti subordinati.

E’ questo, in estrema sintesi, il senso dell’intervento tenuto mercoledì 9 dicembre dal capo della Vigilanza, Carmelo Barbagallo, nell’audizione alla Commissione Finanze della Camera nell’ambito di un’indagine conoscitiva sul sistema bancario italiano. Ovviamente al centro dell’attenzione c’è il salvataggio delle 4 banche commissariate (Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di risparmio di Chieti e Cassa di risparmio di Ferrara).

Ecco alcuni dei passi principali dell’audizione.

COSA (NON) POSSIAMO FARE

A lungo, in più occasioni, abbiamo segnalato la necessità di rafforzare i poteri di intervento della Banca d’Italia, anche facendo eco alle sollecitazioni del Fondo Monetario Internazionale e richiamando le scadenze stabilite dall’Unione Europea. Solo nei mesi più recenti – con il recepimento della direttiva CRDIV – sono stati attribuiti alla Vigilanza poteri che le permettono di intervenire in maniera efficace, senza dover aspettare che la situazione aziendale risulti degradata fino al punto da richiedere l’attuazione delle procedure di rigore previste dalla legge. Grazie alle recenti innovazioni, in futuro gli amministratori potranno essere rimossi, singolarmente o collettivamente; nei casi più gravi ad essi potrà essere interdetta la possibilità di ricoprire cariche presso tutti gli intermediari finanziari; l’apparato sanzionatorio è stato notevolmente potenziato. 

Inoltre, con il recepimento della direttiva BRRD, sono stati 5 previsti poteri di “intervento precoce” che innovano lo strumentario prudenziale: in futuro la Vigilanza potrà intervenire all’emergere dei primi segnali di deterioramento della situazione patrimoniale o finanziaria e chiedere alle banche di attivare le misure da esse definite in un piano di risanamento predisposto nel corso dell’attività in bonis. In questo modo si potrà fare fronte tempestivamente, secondo un criterio di proporzionalità, a carenze nella situazione tecnica o negli assetti organizzativi; in questa fase, la Banca d’Italia in qualità di Autorità di Risoluzione potrà intensificare i preparativi per la risoluzione, ad esempio contattando eventuali acquirenti, per far fronte a un eventuale ulteriore deterioramento della situazione aziendale.

IL DISINCANTO

È bene tuttavia fugare ogni illusione riguardo alla possibilità di evitare del tutto crisi di banche, specie in contesti di eccezionali difficoltà economico-finanziarie. L’esperienza di tutti i paesi mostra che le norme, i controlli di vigilanza, i meccanismi di intervento e i poteri sanzionatori possono ridurre – ma non azzerare – la probabilità delle crisi e il loro impatto sulle funzioni critiche svolte dagli intermediari, sulla stabilità complessiva, sull’economia reale. Le riforme in atto, a livello globale e nell’Unione Europea, mirano a rendere questa probabilità la più bassa possibile.

LA GENESI DEL DECRETO

L’interazione tra debolezze della governance, inefficienze nell’erogazione del credito e deterioramento della situazione tecnica ha caratterizzato le quattro banche per le quali il 22 novembre scorso la Banca d’Italia ha avviato la risoluzione, con l’approvazione del Ministro dell’economia e delle finanze. Si tratta di banche di dimensione piccola o 6 media, prevalentemente operative su base territoriale, e quindi meno in grado di sfruttare i vantaggi della diversificazione dei rischi.

LA NOSTRA COSCIENZA E’ A POSTO

La vigilanza su queste banche è stata continua, di intensità crescente al peggioramento della situazione aziendale, e ha utilizzato l’intero spettro degli strumenti disponibili. All’emergere dei problemi è stata richiesta la modifica dei controlli interni, la revisione delle procedure di erogazione del credito, l’innalzamento delle svalutazioni. Quando opportuno, è stata chiesta – pur in assenza di formali poteri in tal senso – la sostituzione degli organi aziendali e sono state imposte particolari misure prudenziali. Quando il patrimonio – eroso da perdite crescenti – si è attestato su livelli che, pur superiori ai minimi, non consentivano di proseguire la normale attività creditizia, sono stati chiesti piani di ricapitalizzazione; ove necessario è stata sollecitata la fusione con altro idoneo intermediario.

PERCHE’ ABBIAMO COMMISSARIATO

Il commissariamento è stato attuato al verificarsi dei presupposti di legge, accertati in sede ispettiva: coefficienti patrimoniali inferiori ai minimi, associati a gravi irregolarità. Gli esponenti aziendali sono stati rimossi; sono state comminate sanzioni pecuniarie nei limiti massimi consentiti dalle norme (8,5 milioni di euro per le quattro banche) e in proporzione alle responsabilità accertate. Si è sempre tempestivamente informata l’Autorità giudiziaria, in un contesto di continua e reciproca collaborazione.

IL NO DI BRUXELLES AL FONDO FITD

È a questo punto emersa la disponibilità del Fondo Interbancario di Tutela dei depositi a farsi carico di tale aspetto, assorbendo i rischi relativi ai crediti deteriorati. L’intervento del Fondo avrebbe consentito, congiuntamente alle risorse apportate da altre banche, di porre i presupposti per il superamento delle crisi senza alcun sacrificio per i creditori delle quattro banche. Ciò non è stato possibile per la preclusione manifestata da uffici della Commissione Europea, da noi non condivisa, che hanno ritenuto di assimilare ad aiuti di Stato gli interventi del Fondo di tutela dei depositi.

PERCHE’ CONTESTIAMO LA COMMISSIONE UE

Come ho già detto, questa modalità di intervento era stata attentamente considerata e definita nei dettagli dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) per gestire il dissesto delle quattro banche poi oggetto di risoluzione. La sua attuazione non è stata però possibile in quanto l’intervento del FITD è stato considerato dagli uffici della Commissione Europea come un aiuto di Stato, assimilando l’utilizzo del Fondo a quello di risorse pubbliche.

Come ho osservato, non condividiamo questo assunto. In Italia i sistemi di garanzia sono soggetti privati; i loro interventi alternativi al rimborso dei depositanti sono deliberati autonomamente e finanziati con risorse anch’esse private. L’assunto è inoltre in contrasto con la direttiva sui sistemi di garanzia dei depositi, che prevede e disciplina questi interventi. Assimilarli ad aiuti di Stato significa, di fatto, impedire che essi possano essere effettuati, come è invece previsto dalla normativa europea vigente e come è auspicabile in un’ottica di complessivo coordinamento tra le disposizioni sulla concorrenza e quelle sulla gestione delle crisi.

La Banca d’Italia, insieme al Governo, è impegnata a far valere queste ragioni. È necessario disporre di strumenti per gestire le crisi bancarie in maniera ordinata, anche al di fuori di procedure di risoluzione, come è nella nostra storia. Se la posizione della Commissione Europea sul ruolo del FITD dovesse essere confermata, sarà necessario ricercare altre strade.

GLI EFFETTI DELLA RISOLUZIONE

Con i provvedimenti di risoluzione è stata assicurata la continuità operativa delle banche in crisi, sono stati tutelati i risparmi raccolti in forma di depositi, conti correnti e obbligazioni ordinarie, è stata preservata l’occupazione, non sono state impiegate risorse pubbliche.

COSA SUCCEDE DAL PROSSIMO PRIMO GENNAIO

L’avvio della risoluzione ha evitato, nel contempo, il bail-in dei creditori, obbligatorio dal 1° gennaio 2016, e la prospettiva di una liquidazione “atomistica”. Con il bail-in, le nuove norme avrebbero costretto a coinvolgere – oltre alle azioni e ai titoli subordinati – i circa 12 miliardi di euro di massa “non protetta” delle quattro banche, inclusi i 2,4 miliardi di obbligazioni non subordinate. Con la liquidazione “atomistica”, non sarebbe stata assicurata la continuità delle funzioni essenziali delle quattro banche; alle 200.000 piccole imprese affidate si sarebbe dovuto chiedere il rientro immediato, con danni ingentissimi per le economie locali; sarebbero stati tutelati i soli portatori di depositi garantiti, sacrificando i crediti di un milione di risparmiatori e i posti di quasi seimila lavoratori, con una devastante distruzione di valore.

I NUMERI DELLA RISOLUZIONE

Lo Stato non sopporta alcun onere finanziario derivante dall’intera operazione. I costi sono stati addossati in massima parte al sistema bancario italiano, che ha messo a disposizione del Fondo di Risoluzione un importo complessivamente pari a circa 3,6 miliardi di euro per far fronte alla 10 copertura delle perdite residue (1,7 miliardi) e per capitalizzare le “banche ponte” (1,8 miliardi) e la società veicolo per la gestione delle attività deteriorate (140 milioni). La liquidità necessaria per far fronte al complessivo intervento del Fondo di Risoluzione è stata anticipata da primari gruppi bancari italiani con un finanziamento a tassi di mercato e con scadenza massima a 18 mesi. Il finanziamento verrà in gran parte (circa 2,3 miliardi) rimborsato già nei prossimi giorni, grazie ai contributi ordinari e straordinari versati dalle banche italiane al Fondo di Risoluzione. Per la parte residua, il finanziamento verrà restituito mediante le risorse ricavate dal realizzo delle partecipazioni detenute dal Fondo. Nell’ipotesi, presumibilmente remota, che tali risorse siano insufficienti a restituire il finanziamento, il Fondo di Risoluzione potrà richiedere ulteriori contributi alle banche ai sensi del D.L. n. 183 del 2015; solo in ultima, del tutto improbabile, istanza, si potrà attingere a una controgaranzia rilasciata a condizioni di mercato dalla Cassa Depositi e Prestiti.

IL TESTO INTEGRALE DELL’AUDIZIONE DELLA BANCA D’ITALIA IL 9 DICEMBRE IN PARLAMENTO

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