Quando nel 2013 è morto Hugo Chávez, molti si chiedevano se la cosiddetta Rivoluzione bolivariana promossa dal presidente venezuelano in America latina sarebbe sopravvissuta senza di lui. La sconfitta del Partito Unico Socialista del Venezuela alle elezioni legislative del 6 dicembre, la prima in 16 anni al potere, racconta oggi il cambiamento della sinistra latinoamericana e la possibile fine del Socialismo del XXI secolo nella regione.
IL SOCIALISMO DEL XXI SECOLO
Dal 2006, quando sono arrivati al governo Evo Morales in Bolivia, Cristina Fernandez de Kirchner in Argentina, Michelle Bachelet in Cile, Daniel Ortega in Nicaragua e Dilma Rousseff in Brasile, l’America latina sembrava aver svoltato a sinistra. Tutti propagandavano politiche simili, basate su un modello di Stato paternalista, nazionalizzazioni di massa e distribuzione equa delle ricchezze. Il progetto si reggeva su Chávez, sulla sua figura, il suo carisma e le sue idee. E sembrava praticabile grazie ai proventi del petrolio venezuelano, venduto allora a 120 dollari al barile.
IL PRIMO PASSO CUBANO
Oggi l’America latina sembra invece virare a destra. Il 17 dicembre del 2014 gli Stati Uniti e Cuba hanno annunciato l’apertura di una nuova fase nei rapporti tra i due Paesi. La bandiera americana è tornata a sventolare sull’ambasciata statunitense a L’Avana e, dai discorsi dei Castro, sono sparite le accuse agli “imperialisti”. I negoziati tra Cuba e Stati Uniti sono iniziati subito dopo la scomparsa di Chávez, ma il Venezuela di Nicolás Maduro non ha avuto tempo per rendersene contro, preso da problemi e debiti.
I GUAI DI MORALES E LA SAGGEZZA DI CORREA
“I risultati elettorali in Venezuela devono invitare a fare una profonda riflessione”, ha detto il presidente della Bolivia, Evo Morales. Egli è uscito indebolito dalle elezioni regionali ed è costretto a gestire lo scontento di sindacati e rappresentanti indigeni. Ha indetto un referendum costituzionale, in programma nel 2016, con l’obiettivo di garantirsi la possibilità di un quarto mandato presidenziale. Forzatura alla quale non ha ceduto il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, uno dei possibili successori alla guida della sinistra in America latina.
LA LEZIONE ARGENTINA
Due settimane fa, anche l’Argentina ha messo fine alla dinastia della famiglia Kirchner, da 12 anni al governo, votando per il candidato conservatore Mauricio Macri. Dall’inizio della campagna elettorale, Macri aveva messo in chiaro che non avrebbe sostenuto il chavismo come aveva fatto Cristina Fernández de Kirchner, e si è impegnato a denunciare le violazioni dei diritti umani in Venezuela. Il giorno del trionfo elettorale è apparso sul palco a Buenos Aires abbracciato a Lilian Tintori, moglie del leader dell’opposizione, Leopoldo Lopez, in carcere da più di un anno per “tradimento della patria e della rivoluzione bolivariana” (qui il ritratto di Formiche.net).
IL PROCESSO CONTRO LA ROUSSEFF
Nonostante ieri il Tribunale Supremo di Giustizia abbia rilasciato una sentenza che annulla la richiesta d’impeachment contro il presidente del Brasile, Dilma Rousseff, l’establishment brasiliano avrà ancora molte grane giudiziarie. La richiesta di destituzione perorata dal presidente della Camera di Deputati, Eduardo Cunha, pare fosse solo la punta dell’iceberg. L’inchiesta per corruzione Operation Lava Jato, riguardante la compagnia petrolifera Petrobras, è già costata la galera a molti esponenti del mondo politico e giudiziario, eppure è solo ai primi capitoli. Ciò ha prodotto anche un rallentamento dell’economia del Paese.
UNA BOCCIATURA
Rafael Correa in Ecuador e Daniel Ortega in Nicaragua godono ancora di sostegno popolare grazie ai risultati economici raggiunti. Stessa condizione per la sinistra moderata di Michelle Bachelet in Cile e di Tabaré Vázquez in Uruguay, che resistono ancora al potere. Secondo Ernesto Samper, segretario generale dell’Unione di Nazioni Sudamericane (Unasur) e già presidente colombiano, in America latina è in atto un avvicendamento democratico che non c’entra con la destra o la sinistra, ma con la capacità di amministrare. Michael Shifter, presidente del think tank Inter-American Dialogue con sede a Washington, crede che “la sconfitta del chavismo e il trionfo di Macri rispecchiano il desiderio di cambiamento nella regione e la disapprovazione nei confronti di governi che hanno lavorato male”. Mentre intellettuali, giornalisti e politici italiani come Gianni Minà, Toni Negri, Gianni Vattimo, Fausto Bertinotti e alcuni simpatizzanti del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo vorrebbero importare in Italia il modello, fallito, del Socialismo latinoamericano del XXI secolo.