Non c’è soltanto il fascicolo Apple, che proprio ieri ha chiuso il proprio contenzioso con l’Agenzia delle Entrate diretta da Rossella Orlandi (nella foto) staccando un assegno da 318 milioni di euro a favore dell’Erario. Sono diversi i filoni di indagine aperti dalla Procura di Milano nel tentativo di individuare quelle multinazionali che contabilizzano all’estero, soprattutto in Paesi dal regime fiscale agevolato come l’Irlanda, i profitti realizzati dalla loro attività sul mercato italiano.
APPLE PAGA E TEME ALTRI STATI
Il pagamento di una somma pari 318 milioni per sanare un’evasione fiscale di circa 880 milioni di euro. Dopo mesi di trattativa, Apple Italia ha trovato un accordo con l’Agenzia delle Entrate per chiudere il proprio contenzioso tributario con il fisco italiano. La notizia, pubblicata oggi sul quotidiano la Repubblica, ha trovato conferma in ambienti giudiziari milanesi dove si parla di “risultato importante” soprattutto perché è la prima volta nel mondo che il colosso di Cupertino risolve un contenzioso fiscale con l’erario di uno dei paesi in cui opera: l’accordo trovato con il fisco italiano e il conseguente maxi risarcimento potrebbero insomma rappresentare un “modello” da esportare anche in altri Paesi dell’Unione Europea dove Apple ha altre pendenze fiscali analoghe. La speranza nel medio termine, spiegano ancora fonti della Procura, è che Bruxelles attui quell’omologazione del trattamento fiscale tra i Paesi Ue necessaria soprattutto per eliminare il cosiddetto fenomeno dell'”esterovestizione” all’interno della stessa Unione Europea.
IL RULING INTERNAZIONALE
Una procedura di ruling internazionale valida nel quinquennio compreso tra il 2016 e il 2020 per determinare con esattezza l’entità delle imposte da versare al fisco italiano. C’è anche questa clausola nell’accordo raggiunto ieri tra Agenzia delle Entrate ed Apple che ha pagato all’erario 318 milioni di euro per sanare il proprio contenzioso tributario. Stando a quanto si è appreso in ambienti giudiziari milanesi – scrive l’agenzia Askanews – la procedura di ruling internazionale servirà a quantificare con esattezza quale percentuale, in rapporto agli utili realizzati in Italia, il colosso di Cupertino dovrà versare al fisco italiano e quanto invece sarà pagato in Irlanda. La trattativa tra il pool di legali di Apple e i funzionari dell’Agenzia delle Entrate è in corso e dovrebbe chiudersi nei prossimi mesi. L’obiettivo, sottolineano fonti della Procura di Milano, è regolarizzare gli accordi tra l’Italia e le multinazionali che operano nel Belpaese e che, come nel caso di Apple e Google, negli anni scorsi hanno “dirottato” i ricavi realizzati nel mercato italiano in altre sedi localizzate in Paesi, come l’Irlanda, a fiscalità agevolata.
DOSSIER GOOGLE
In cima all’elenco dei big del web finiti nel mirino degli inquirenti milanesi coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Greco c’è Google: l’indagine (a carico di ignoti) è stata affidata al pm Isidoro Palma e riguarda – scrive l’agenzia Askanews – una presunta maxi evasione fiscale che la multinazionale californiana avrebbe realizzato non pagando in Italia le imposte relative a contratti pubblicitari siglati con clienti italiani. Le trattative tra i legali di Google e i funzionari dell’Agenzia delle Entrate sono ancora in corso e l’accordo – stando a quanto di apprende in ambienti giudiziari milanesi – sarebbe in dirittura d’arrivo.
IPOTESI AMAZON
Il pm Adriano Scudieri ha da poco chiuso le indagini su Western Digital, gruppo statunitense leader nella produzione di hard disk. Un altro caso di “esterovestizione” che per il momento ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di un manager di primo piano della filiale irlandese del gruppo. Lo stesso pm Scudieri sta svolgendo una serie di accertamenti su Amazon, colosso mondiale dell’e-commerce. L’inchiesta, nata in seguito a una segnalazione dell’Agenzia delle Entrate, è ancora in una fase embrionale ed è sfociata nell’apertura di un fascicolo a modello 45, ossia ancora senza indagati né ipotesi di reato.
IL FASCICOLO CREDIT SUISSE
Il pm Gaetano Ruta è invece titolare di un’inchiesta su un’altra presunta maxi frode fiscale, valore complessivo circa un miliardo di euro, che sarebbe stata realizzata da 351 cittadini italiani attraverso polizze assicurative sottoscritte con la filiale italiana del gruppo Credit Suisse. L’indagine (che non coinvolge nessun manager o dipendente dell’istituto di credito elvetico) riguarda somme di denaro non dichiarate al fisco italiano e occultate all’estero attraverso operazioni finanziarie effettuate tra il Liechtenstein e le isole Bermuda.
IL CASO PRADA
I magistrati milanesi indagano anche su alcuni colossi del mondo dell’alta moda. E’ il caso di Prada, gruppo finito al centro di un’indagine dei pm Scudieri e Ruta su una presunta elusione fiscale da 470 milioni di euro realizzata nell’ultimo decennio. Secondo i magistrati milanesi, che hanno iscritto nel registro degli indagati Miuccia Prada, il marito Patrizio Bertelli e il loro commercialista di fiducia Marco Salomoni, in questo caso la presenta “esterovestizione” dei profitti italiani sarebbe avvenuta attraverso la società Prada Holding, con sede legale ad Amsterdam.
GLI ALTRI BIG NEL MIRINO
Anche il gruppo Armani sarebbe al centro di una serie di verifiche fiscali. E’ invece alle battute finali il processo sulla presunta maxi evasione fiscale che il gruppo Marzotto avrebbe realizzato attraverso la vendita del marchio Valentino Fashion Group al fondo Permira. L’operazione era stata perfezionata nel 2008 attraverso la società Icg (acronimo di International Capital Growth), costituita in Lussemburgo dalla famiglia Marzotto-Donà delle Rose. Un “pacifico fenomeno di esterovestizione” di una società che “aveva la sede legale all’estero ma era gestita completamente dall’Italia”, secondo i pm Gaetano Ruta e Laura Pedio: un escamotage, stando all’accusa, messo in atto per vendere il brand Valentino senza pagare in Italia 71 milioni di euro di imposte relative alla plusvalenza dal 200 milioni realizzata dal gruppo Lussemburgo. La sentenza è prevista per 13 febbraio prossimo.
I DETTAGLI SUL CASO APPLE
Il caso Apple rappresenta un classico esempio di “esterovestizione” che ha portato la Procura di Milano ad aprire un’indagine sulla multinazionale fondata da Steve Jobs. Secondo i magistrati titolari del fascicolo, il procuratore aggiunto Francesco Greco e il pm Adriano Scudieri, i redditi realizzati da Apple attraverso l’attività commerciale svolta in Italia sarebbero stati volutamente “sottoposti a tassazione in Irlanda con applicazione di un’aliquota favorevole, compresa tra lo 0,06% e lo 0,05%, rispetto a quella italiana pari al 27,50%”. L’inchiesta milanese, chiusa nel marzo scorso, vede indagati l’amministratore delegato di Apple Italia, Enzo Biagini, il direttore finanziario Mauro Cardaio. L’accusa è omessa dichiarazione dei redditi e riguarda 879 milioni di mancato pagamento Ires nel quinquennio compreso tra il 2008 e il 2013. Sotto indagine anche Michael Thomas O’Sullivan, manager della Apple Sales International, società di diritto irlandese dove, stando all’accusa, sarebbero stati contabilizzati i profitti realizzati da Apple in Italia. “Agli indagati – aveva sottolineato nei mesi scorsi l’ex procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati – è contestato, nei loro rispettivi ruoli, l’aver omesso di dichiarare redditi prodotti in Italia dalle società irlandesi attraverso una stabile organizzazione occultata all’interno della Apple Italia srl, che formalmente svolgerebbe solo attività di marketing e supporto alle vendite”. Secondo gli inquirenti milanesi, insomma, “il team di vendite di Apple Italia opera come agente dipendente per conto delle società irlandesi, avendo il potere di negoziare e decidere, in modo vincolante, tutti gli elementi ed i termini dei contratti commerciali di compravendita relativi ai prodotti Apple destinati alla rete di distribuzione nazionale, siglati solo formalmente in Irlanda”. Perciò “i relativi redditi devono ritenersi come prodotti in Italia perché derivanti da attività commerciale svolta in Italia da una società residente”.