La legge di stabilità italiana è a “rischio di non conformità con il patto di stabilità e crescita”: questa la conclusione dell’analisi effettuata dalla Commissione europea.
Il giudizio definitivo è, però, rinviato alla prossima primavera, in attesa di un esame più approfondito. Ci sono essenzialmente tre motivi per cui l’Italia, insieme all’Austria e alla Lituania, è stata inserita nella categoria di “rischio di non conformità”, dietro a otto Paesi (su dodici che rispettano il criterio del 3 per cento) considerati conformi o ampiamente conformi.
In primo luogo, il disavanzo nel 2016 (2,4% del Pil con le spese per la sicurezza e per la cultura) è superiore alla previsione dell’1,8% del programma di stabilità presentato in aprile. In secondo luogo, il disavanzo strutturale, ossia il saldo nominale al netto della variazione ciclica e delle misure una-tantum, aumenta di mezzo punto percentuale rispetto allo scorso anno.
In base alle regole, il governo avrebbe dovuto prevedere un taglio – e non un incremento – del disavanzo strutturale dell’ordine dello 0,1% del Pil. Deviazioni dal percorso di aggiustamento dei conti sono, tuttavia, possibili solo se previste dalle linee guida sulle clausole di flessibilità pubblicate a inizio anno.
E qui si arriva al terzo punto. L’eleggibilità alle suddette clausole dipende dall’impatto che la maggiore spesa finanziata in disavanzo ha sul Pil potenziale e sulle finanze pubbliche. Per l’Italia, questo impatto è ancora da valutare.
L’Italia, ad oggi, è il Paese che ha fatto maggiore ricorso alla flessibilità di bilancio. Dopo aver ottenuto margini pari allo 0,4% del Pil, il governo ha chiesto ulteriori spazi di manovra da giustificare attraverso la clausola delle riforme (0,1% del Pil, pari a circa 1.6 miliardi di euro), quella degli investimenti (0,3 per cento del Pil pari a 3.6 miliardi di euro) ed, infine, quella degli “eventi eccezionali”, ribattezzata clausola “sicurezza” (circa due miliardi e mezzo di euro di spesa aggiuntiva).
Prima di dare il via libera, la Commissione vuole, però, verificare quali nuove riforme – in aggiunta a quelle per cui è già stata attivata la clausola delle riforme nel luglio scorso -, il governo intenda realizzare e il loro effetto.
Per quanto riguarda la riforma della Pubblica amministrazione, in particolare, bisognerà aspettare i decreti attuativi. Anche perché non sono ancora stati definiti obiettivi quantitativi per i risparmi di spesa, non essendo la riforma stata collegata alla spending review.
L’esecutivo europeo vuole, inoltre, appurare l’effettivo incremento degli investimenti pubblici: i numeri forniti sembrano, infatti, indicare che la percentuale di investimenti fissi lordi per il 2016 dovrebbe rimanere pressoché invariata rispetto al 2015 (2,3% del Pil).
Per la Commissione, poi, una manovra per due terzi finanziata in disavanzo comporta dei rischi da non sottovalutare, soprattutto per il biennio 2017-2018: maggiore è il disavanzo consentito nel 2016, maggiore dovrà essere la correzione successiva per riprendere il processo di convergenza verso l’obiettivo di medio termine.
Nel 2017 saranno esauriti tutti i margini di flessibilità e, pertanto, dovrà essere implementato un taglio del disavanzo strutturale pari ad almeno lo 0,5% del Pil. Inoltre, il governo dovrà provvedere a disinnescare le clausole di salvaguardia rimaste in vigore per circa una trentina di miliardi di euro: per ora sono state cancellate solo quelle relative al 2016 (16 miliardi di euro).
A conti fatti, si tratta di un intervento fiscale di entità notevole che, con ogni probabilità, avverrà in una fase di rallentamento dell’economia globale e, quindi, anche di quella europea.
L’Italia rimanda l’aggiustamento
In sostanza, rimandando l’aggiustamento all’anno prossimo, l’Italia si potrebbe trovare nella situazione di dover attuare una politica fiscale molto restrittiva che vanificherebbe l’effetto espansivo di quest’anno. Un effetto espansivo che rimane, comunque, tutto da verificare. Già più volte, in passato, l’economia italiana ha dimostrato di non rispondere allo stimolo fiscale, soprattutto in assenza di coperture chiare.
Veronica De Romanis, economista, è autrice de “Il Caso Germania: così la Merkel salva l’Europa” (Marsilio editori).
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