Skip to main content

Bcc, ecco cosa succede in Terra d’Otranto con Banca d’Italia

Sarà la Banca d’Italia a dettare tempi e modalità per tornare al voto e disegnare il futuro prossimo della Banca di Credito Cooperativo di Terra d’Otranto, da tempo al centro di una complessa inchiesta penale di carabinieri, guardia di finanza e Procura di Lecce, esplosa all’indomani del rinnovo delle cariche sociali, che ne ha scardinato gli equilibri interni e compromesso l’immagine.

Un anno fa il commissariamento dell’istituto, sferzato da un fuoco di fila di avvisi di garanzia e dimissioni, con decreto di scioglimento degli organi amministrativi e di controllo a firma del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sulla scorta dell’informativa redatta e inviata dall’Istituto centrale governato da Ignazio Visco.

Il 31 gennaio, l’ultimo lasciapassare per evitare la serrata o l’accorpamento da parte di una banca terza. Ma ancor prima, il voto di maggioranza alle proposte di modifica su regolamento e statuto, messe nero su bianco dai tecnici della Banca d’Italia inviati un anno fa da Ignazio Visco, Roberto Lorìa in testa, affiancato da Mario Pace e Giuseppe Tammaccaro.

I soci, chiamati ieri a Lecce a votare le modifiche, hanno risposto. Le imposizioni di Bankitalia sono passate ma i numeri fanno riflettere: solo in 236 su 1800 si sono presentati – più 40 deleghe per un totale di 276 voti -, segno evidente dello strascico lasciato dall’inchiesta ancora in corso.

Ad ogni modo si voterà il 31 gennaio. Le o la lista dovranno essere ufficializzate dieci giorni prima.

Circa i diktat del pool di Visco, tante lettere, con contenuti inevitabilmente consequenziali allo scossone giudiziario. La banca si blinda contro ogni sorta di permeabilità sospetta o quantomeno sconveniente, nel tentativo di lasciarsi alle spalle la pagina più nera della sua storia che ha comportato, con ogni probabilità, anche l’uscita dalla classifica annuale stilata da Milano Finanza sugli istituti di credito minori. Lo scorso anno il credito cooperativo di Terra d’Otranto si piazzò 17esimo su 40, quest’anno è uscito dalla classifica. Ed è un altro dato su cui riflettere.

Tornando alla ridefinizione di statuto e regolamento, ratificata ieri a maggioranza dei presenti, riguardano il numero dei consiglieri e l’istituto delle deleghe, terreno scivoloso quest’ultimo, per le contestate elezioni del 2014 dopo le quali esplose il caso giudiziario.

Scende da nove a sei il numero dei consiglieri e sale a due quello dei vicepresidenti. L’art. 32 del documento al vaglio tra poche ore recita che il cda “è eletto dall’assemblea ed è composto dal presidente e da sei consiglieri. L’assemblea nomina tra i sei consiglieri due vice presidenti, di cui uno vicario”. Un passo indietro fino all’art. 25 invece, per leggere che “il socio può farsi rappresentare da altro socio persona fisica che non sia amministratore, sindaco o dipendente della Società, mediante delega scritta. Tale delega deve contenere il nome del rappresentante e la firma del delegante deve essere autenticata, alternativamente, dal presidente del consiglio di amministrazione, da consiglieri a ciò espressamente delegati dal consiglio di amministrazione, dal direttore, dal vicedirettore, dal Responsabile dell’Area Supporto di Direzione, ovvero da un notaio. Ogni socio non può ricevere più di una delega”, a fronte delle tre come da statuto fino a ieri in vigore.

Le deleghe inoltre saranno “autenticate alternativamente dal Presidente del Consiglio d’Amministrazione, da un Consigliere a ciò espressamente delegato dal Consiglio di Amministrazione, dal Direttore , dal Vice Direttore, dal Responsabile dell’Area Supporto di Direzione ovvero da un notaio”, mentre l’attuale regolamento autorizza all’autentica solo “ i membri del Consiglio di Amministrazione”.

Risente dell’ammasso di faldoni e controlli capitolini, il nuovo art.14 dello statuto. Bankitalia ai punti e ed f, lunghi e articolati, concede ampi poteri di controllo al cda, autorizzato ad escludere in via precauzionale quanto immediata coloro i quali risultino destinatari “di un provvedimento interdittivo antimafia emesso dalla prefettura, ovvero di decreto emesso dal tribunale civile e penale per l’applicazione delle misure di prevenzione ai sensi del vigente codice delle leggi antimafia. Analogo provvedimento dovrà essere adottato dal nei confronti del socio destinatario di misura coercitiva per associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, estorsione, usura e riciclaggio”.

Articolo 25, intervento e rappresentanza in assemblea. Roma torna a parlare di deleghe aggiungendo che “il socio può farsi rappresentare da altro socio persona fisica che non sia amministratore, sindaco o dipendente della Società, mediante delega scritta. Tale delega deve contenere il nome del rappresentante e la firma del delegante deve essere autenticata, alternativamente, dal presidente del consiglio di amministrazione, da consiglieri a ciò espressamente delegati dal consiglio di amministrazione, dal direttore, dal vicedirettore, dal Responsabile dell’Area Supporto di Direzione, ovvero da un notaio. La delega dovrà essere conferita utilizzando esclusivamente l’apposito modulo predisposto dalla Società ed allegato alla convocazione. Ogni socio non può ricevere più di una delega”.

Altre disposizioni minori riguardano compiti del collegio sindacale, incarichi interni, assemblea ordinaria e, nel regolamento, l’amministrazione straordinaria.

Lo scoglio di una domenica di passione sembra poca cosa però, rispetto alla resa dei conti che si giocherà sullo scacchiere temporale di sole tre settimane.

Bankitalia propone una lista unica, voto ad alzata di mano e un presidente avulso dai contesti geografici e giudiziari degli ultimi tempi.

Da Roma fanno quadrato attorno a un noto avvocato leccese, vicino a famiglie di imprenditori non nuovi al mondo della finanza locale. E lui sarebbe propenso ad accettare, forte di una lista super partes già definita, o quasi.

Ma c’è chi non si arrende. Le grandi famiglie di Melendugno e Carmiano – la Bcc nasce dalla fusione delle casse rurali dei due comuni salentini – provano a stringere accordi, anche gli avversari dell’ultima competizione, come Giulio Ferrieri Caputi (candidato sconfitto) e Giancarlo Mazzotta (fratello del presidente eletto nel 2014) si sono seduti attorno allo stesso tavolo. Così come dialoghi sono stati avviati anche con la famiglia Potì, anima storica della base sociale melendugnese.

Ancora fumata nera, ma i giochi restano aperti. Sotto l’occhio di Bankitalia.


×

Iscriviti alla newsletter