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Ecco come jihadisti e musulmani vedono le donne

Il 31 dicembre scorso, centinaia di donne occidentali sono state attaccate, molestate sessualmente e alcune di loro violentate nei dintorni della stazione di Colonia, in Germania. Gli aggressori erano in gran parte rifugiati siriani. La notizia è diventata di dominio pubblico quattro giorni dopo. Il silenzio da parte delle autorità e della stampa locale, che ha minimizzato l’accaduto, è diventato ora un caso europeo.

DIVERSITÀ CULTURALE

Dopo una campagna a favore dell’accoglienza dei profughi e rifugiati siriani, gli esperti cominciano a chiedersi come fare per favorire l’integrazione di una massa di individui – uomini e donne – che arrivano in un Paese sconosciuto, traumatizzati dalla guerra e dalla violenza. Ad aumentare la complessità di questo processo, c’è il fatto che appartengono ad una cultura diversa.

VERTICE “TROPICALE” DELL’OPEC

Per capire queste diversità, secondo molti analisti basterebbe ricordare il secondo vertice dell’Opec tenuto nel 2000 a Caracas, in Venezuela, l’unico Paese non arabo membro dell’organizzazione di Paesi produttori di petrolio: la visita delle autorità, un anno dopo l’insediamento del presidente Hugo Chávez, fu un incontro tra due universi. Più di uno tra gli invitati arabi chiese se le donne in costume da bagno nella piscina dell’hotel Hilton fossero “anche loro a disposizione” degli ospiti, per essere almeno toccate, visto che erano quasi nude. Mondi diversi, uniti forse solo da una retorica anti americana e dalla ricchezza sconfinata delle risorse petrolifere.

ISLAM E DONNE 

Leggendo un post del blog Diary of a Muhajirah, uno degli strumenti di propaganda dello Stato Islamico, si può avere un’idea di come siano viste le donne secondo l’Islam più radicale. Questo diario della moglie di un jihadista, pubblicato su Tumblr, racconta la vita delle “muhajirah”, donne che hanno sposato militanti dell’Isis e danno il loro contributo alla causa. La propaganda avviene quasi sempre con post scritti in inglese, con parole trascritte foneticamente dall’arabo, attraverso i quali queste ragazze narrano le loro storie e la loro quotidianità.

SEMPRE SECONDA MOGLIE

Per combattere “la campagna di disinformazione dell’Occidente e aiutare le donne di tutto il mondo a prendere la decisione migliore”, si legge, il blog dedica il post “10 cose da sapere sullo Stato Islamico”. Le donne che sposano un jihadista, per esempio, non pagano affitto né bollette di elettricità e acqua. Hanno a disposizione gratuitamente ogni mese spaghetti, pasta, riso, uova e altri beni di prima necessità. Usufruiscono di indennità mensili e visite mediche, sussidi per ogni bambino hanno farmaci a disposizione. Ma non tutto è rose e fiori. Shams (che significa “sole” in arabo) si presenta sui social network come “L’uccello di Jannah” e ha raccontato la morte del coniuge: “Ho capito che anche mio marito poteva morire per mano dei nemici dello Stato Islamico. Anzi, che voleva morire proprio per quella causa. Mi sono sentita triste, ma lo capisco. La jihad sarà sempre la sua prima moglie e io la seconda”.

MUSULMANI DEL MONDO

Queste visioni conservatrici sulle donne non sono un’esclusiva del Califfato, come ha messo in luce nel 2013 un sondaggio del Pew Research Center. L’indagine, effettuata in 23 Paesi, ha chiesto se “una moglie debba sempre obbedire al marito”. In venti Paesi si sono registrate ampie maggioranze che hanno detto di essere “del tutto o in gran parte d’accordo”. Solo in Bosnia, Albania e Kosovo questa idea è risultata minoritaria. I risultati dello studio, ricordati ieri dal Corriere della Sera nella rubrica di Danilo Taino, sono i seguenti: “In Medio Oriente e Africa del Nord si va dal 93% della Tunisia al 92% di Marocco e Iraq al minimo, 74%, del Libano. Nell’Asia del Sud e del Sudest, dal 96% della Malaysia all’88% (quota minima) del Bangladesh. Situazione simile in Tajikistan (89%), Uzbekistan (84%) e in generale nell’Asia centrale ex sovietica. Anche tra i musulmani russi, il 69% è di quell’opinione. In Turchia il 65%”. Su altre questioni (divorzio, velo ed eredità) le opinioni sono le più svariate. In 20 Paesi, la maggior parte dei musulmani crede che la decisione di portare o meno il velo dovrebbe essere lasciata alla donna.

LA CULTURA DEL RIFUGIATO

Per Kamel Daoud, scrittore algerino, è necessario che la politica di accoglienza dell’Unione europea guardi alla cultura, non soltanto allo status del rifugiato. In un articolo pubblicato ieri su Repubblica a proposito dei fatti di Colonia, Daoud sostiene che “l’accoglienza si limita a burocrazia e carità, senza tenere conto dei pregiudizi culturali e delle trappole religiose”. L’autore de “Il caso Meursault” scrive: “L’Altro proviene da quel vasto universo di dolori e atrocità che è la miseria sessuale nel mondo arabo-musulmano. Accoglierlo non basta a guarirlo. Il rapporto con la donna rappresenta il nodo gordiano nel mondo di Allah. La donna è negata, uccisa, velata, rinchiusa o posseduta. È l’incarnazione di un desiderio necessario, e per questo ritenuta colpevole di un crimine orribile: la vita. Una convinzione condivisa, che negli islamisti appare palese. Poiché la donna è donatrice di vita e la vita è una perdita di tempo, la donna è assimilabile alla perdita dell’anima”.

LE DONNE E LA VITA

Daoud precisa che, per la cultura islamica, il corpo della donna è il luogo pubblico della cultura e appartiene a tutti, ma non a lei stessa: “Il corpo della donna non è visto come luogo stesso di libertà, in Occidente un valore fondamentale, ma di degrado. Per questo lo si vuole ridurre a qualcosa da possedere o a una nefandezza da ‘velare’. La libertà di cui la donna gode in Occidente non è vista come il motivo della sua supremazia ma come un capriccio del suo culto della libertà”.

UN’IDEA MEDIEVALE

Silvia Wadwha, giornalista finanziaria tedesca della CNBC, ha commentato quanto è accaduto in Germania: “Sono una figlia degli anni sessanta. Fate la pace, non la guerra … Abbiamo bruciato i reggiseni, portato le mini gonne, inneggiato al libero amore … la liberazione delle donne … Abbiamo lottato a lungo e duramente per la parità di diritti per le donne. Abbiamo politici che fanno su e giù per il paese dibattendo delle ‘quote rosa nel mondo degli affari e della politica. Abbiamo interi eserciti di femministe preoccupate di sottigliezze come la “femminizzazione” della nostra lingua… Non sono disposta a buttare via tutto per orde di stronzi ingrati che credono di poter portare la loro idea medievale di donna nel mio Paese! Le donne nel MIO Paese possono camminare per le strade da sole di notte, possono indossare ciò che scelgono, possono guardare qualsiasi uomo dritto negli occhi, possono rispondere… E non si aspettano di essere insultate, attaccate, maltrattate, violentate. E mi batterò con le unghie e con i denti perché rimanga così”.

RIVOLUZIONE POLITICA?

Parlando della proposta del sindaco di Colonia, Henriette Reker, di mantenere “una distanza di sicurezza dagli uomini che sembrano stranieri e di non indossare gonne corte” per cercare di evitare altri fatti simili, Wadwha crede che sarebbe meglio chiedere le dimissioni del primo cittadino: “Perché non suggerire di iniziare ad indossare un burqa? Sicuramente dovrebbe essere ancora più sicuro!… Se i nostri politici non sono disposti a difendere la mia libertà – come donna o come europea – allora… Mi dispiace … Forse è tempo di una rivoluzione … Non per paura, xenofobia e neo-nazionalismo. Una rivoluzione per la libertà di tutti coloro che sono disposti a difendere le nostre libertà – non importa di che colore sia la loro pelle o la loro religione! Io sono pronta … Voi?!?”.

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