La vicenda del decreto del Tesoro in materia di investimenti delle Casse di Previdenza si tinge di giallo. Nato dopo una lunga e complessa gestazione soprattutto legata alla serrata dialettica tra Ministero dell’Economia e Ministero del Lavoro, ostinato nel voler ricondurre le Casse di Previdenza in un alveo pubblico sebbene in contrasto con la loro natura dichiaratamente privata (con tanto di riconoscimento della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato), viene ancora stoppato dal Consiglio di Stato. Motivo: i derivati e la legge sugli appalti. Due argomenti, ma una firma sola. Ancora una volta quella del Lavoro.
Infatti, proprio su questi due temi il dicastero retto da Piercarlo Padoan aveva dovuto frenare i bollenti ardori degli uffici del ministero del Lavoro che sin dall’origine avrebbe vietato ogni tipo di investimento in derivati, senza distinzione tra derivati di copertura da rischi o di pura speculazione-scommessa, e avrebbe imposto alle casse la selezione dei gestori tramite appalto pubblico, sebbene la stessa legge sugli appalti non lo preveda. E così deve essere stata proprio una “manina” pubblica quella che ha portato al Consiglio di Stato due temi entrati nelle sue note di commento.
Insomma, un confronto a colpi bassi tra istituzioni dello Stato che va a danno del buon senso e dei soliti lavoratori, che tutti dicono di voler difendere. E sì perché i derivati sono consentiti a tutti, ma proprio a tutti: al MEF con le risorse del popolo italiano, ai fondi pensione, alle fondazioni bancarie e alle assicurazioni. Tranne, nella peculiare visione del Ministero del Lavoro e del Consiglio di Stato, alle casse di previdenza. Senza distinguere tra derivati di copertura da rischi quali, ad esempio, i rischi di cambio, e quelli di puro azzardo e scommessa.
Davvero curioso il codice degli appalti pubblici d.lgs 163/06, in merito al quale il Consiglio di Stato chiede al Mef di acquisire un parere dell’ANAC. La selezione di gestori tramite la legge sugli appalti appare – secondo un addetto ai lavori che preferisce l’anonimato – “una peculiarità difficilmente spiegabile per soggetti privati ai quali di privato resterebbe allora ben poco”. Tanto varrebbe trarre le conclusioni e ricondurli in un alveo pubblico piuttosto che pubblicistico visto che nessuno è più in grado di comprendere la differenza tra i due termini. E’ del resto – chiosa un esperto del settore – la fissazione del Ministero del Lavoro che sulla applicazione del Dlgs 163/06 alla selezione dei gestori finanziari ne ha fatto una vera e propria battaglia di principio in tutte le possibili sedi. A dispetto di quanto prevede la stessa normativa che riconduce all’appalto solo servizi quali quello di banca depositaria.
Il canale tra Consiglio di Stato e Ministero del Lavoro ha dunque prodotto un ultimo colpo di scena, che sancisce il rischio di una mossa che può partire anche dalla migliore delle intenzioni, ma finisce per produrre due paradossi: una gestione del risparmio “ingessata”, a danno degli iscritti, e una chiusura al mercato internazionale con quella che assumerebbe tutto il sapore di una barriera amministrativa all’ingresso. Quanto ci vorrà per cambiare tutte le storture del provvedimento? Intanto il tempo passa. E a vincere, al momento, pare essere – dice sconsolato un addetto ai lavori – la burocrazia vetero-comunista italiana fa esattamente il contrario di quello che i più copiosi e intelligenti lavori nazionali e internazionali dicono che si dovrebbe fare.