Nella sua città ideale, Platone ammetteva solo la sessualità riproduttiva. Il filosofo greco esprimeva così quell’aspirazione alla continenza e al controllo delle passioni che diventerà centrale nel cristianesimo. Oggi, almeno in Occidente, le inclinazioni sessuali di molte persone hanno poco a che vedere con l’investimento genetico nelle generazioni future.
Non so se ormai siamo burattini di ormoni egoisti, per riprendere la famosa metafora di Roger Scruton, ma la realtà è questa. Che la Chiesa vi si opponga non solo è legittimo, ma del tutto coerente col suo magistero morale. Spetta tuttavia alla discussione pubblica – alla cultura, all’etica, alle leggi da essa derivate – affrontare i problemi posti dal cambiamento dei costumi e dai tortuosi sentieri della natura.
In tale discussione, le gerarchie ecclesiastiche hanno ovviamente pieno diritto di cittadinanza. Gli schiamazzi dei sedicenti custodi dell’ortodossia laica sono, in proposito, abbastanza ridicoli. In una discussione contano, però, gli argomenti che si portano. Ad esempio, a me non sembra convincente quello secondo cui, sulla scorta della tradizione giudaico-paolina, l’unione civile tra omosessuali costituirebbe una minaccia mortale per la riproduzione della specie umana. Se il criterio fosse questo, anche il voto di castità andrebbe vietato.
In ogni caso, quanti temono che il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili spiani la strada alla disgregazione della famiglia tradizionale e a un avvenire senza prole, devono stare tranquilli. Provvederà a mettere le cose a posto il “calcolo inconscio” dell’evoluzione; o, se non piace Charles Darwin, la “volontà della specie” di Arthur Schopenhauer.
La questione è assai seria, lo so, ma proviamo anche a sorriderci come fa il New Yorker in questa vignetta.