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Tutte le convulsioni in Germania sui profughi: risorsa o sciagura?

I profughi sono una risorsa per l’economia tedesca, si è detto e ripetuto fino allo sfinimento. Ora un articolo del quotidiano Die Welt smentisce questa affermazione. “Ma che risorsa, sono un costo che rischia di intaccare l’andamento economico”, avverte il quotidiano sulla base di una serie di studi in proposito.

Un tempo i tedeschi usavano parlare di “italienische Verhältnisse” quando a loro avviso la situazione politica italiana si ingarbugliava in modo pericoloso. Un modo di dire che nel frattempo si potrebbe però applicare anche alla Germania, anche nel Paese dell’ordine per eccellenza, il caos in questo momento pare regnare sovrano. E quanto sia grande lo si può per esempio evincere dal braccio di ferro tra Angela Merkel e i suoi oppositori (esterni e interni al partito). E ancora dagli equilibrismi verbali. La Kanzlerin non vuole sentir parlare di un tetto massimo di profughi che può essere accolto nel Paese.

Così, giusto due giorni fa Julia Klöckner, uno dei vice della Cdu, nonché candidata dei cristiano-democratici nelle regionali di marzo nel Rheinland Pfalz, ha proposto un piano A2. Non B, beninteso, perché, spiega Klöckner, si tratta di una integrazione, non di un sostituzione. L’integrazione consisterebbe nel creare dei grandi centri di prima accoglienza ai confini tedeschi. E lì i profughi dovrebbero rimanere fino a quando non è stata accertata la loro idoneità alla richiesta di asilo o di protezione secondaria. Chi ha le carte in regola entra, chi non le possiede viene rimandato indietro. Già, ma dove in Austria? Vienna non ne sarebbe affatto contenta ed è già corsa ai ripari, contingentando il numero massimo di persone che quest’anno possono chiedere protezione in Austria.

Tornando alla tesi che i profughi siano una risorsa per il mercato del lavoro, ancora in novembre si sentiva dire per esempio dal ceo di Daimler Dieter Zetsche: “Nel caso migliore saranno la base del prossimo miracolo economico tedesco”. “Il lavoro è un fantastico volano per l’integrazione”, dichiarava al quotidiano berlinese Tagesspiegel, il direttore delle risorse umane di Thyssen Krupp Oliver Burkhard. “Senza l’inserimento degli immigrati, la Germania nel 2030 avrà un milione in meno di persone in età lavorativa”, sottolineavano gli imprenditori in coro, sollecitando il governo a sveltire le pratiche per l’ingresso nel mercato del lavoro di questi nuovi arrivati. E anche Ingo Kramer, presidente della Confederazione tedesca dei datori di lavoro (BDA) dichiarava in un’intervista al quotidiano Süddeutsche Zeitung: “La politica deve accelerare le procedure di ingresso nel mercato del lavoro. C’è bisogno di corsi di tedesco e diritto di permanenza per i giovani profughi ammessi ai corsi di formazione”.

Ma adesso c’è chi smentisce queste tesi. Sono in primo luogo i grandi istituti di ricerca economica tedeschi. Raramente si è visto gli economisti entrare a gamba così tesa in un dibattito che è si economico, ma non meno di carattere sociale. A capeggiare coloro che smentiscono la tesi della opportunità è l’IFO di Monaco, il cui presidente (uscente) Hans-Werner Sinn, è da sempre la voce più critica riguardo alla politica economica di Merkel: è stato per esempio il più veemente sostenitore di una Grexit. Secondo uno studio appena reso noto dall’IFO, solo l’anno scorso i profughi sono costati alla Germania 21 miliardi di euro. Numeri che combaciano con quelli di un altro studio, questa volta del ZEW (Centro per lo studio economico europeo) guidato da Clemens Fuest, altrettanto scettico verso la politica di accoglienza. Non è invece così drastico Marcel Fratscher direttore del DIW, (Istituto tedesco ricerca economica) secondo il quale la “domanda centrale non è se i profughi costituiranno alla lunga un’utilità per la Germania, ma semplicemente in che tempi il loro apporto economico supererà i costi aggiuntivi”. Insomma, dice Fratscher, l’arrivo dei profughi va visto in una proiezione a lungo termine. Gli risponde però l’autore dell’articolo, nonché capo dell’economia della Welt: una proiezione a lungo termine oggi come oggi non ha senso, perché suscettibile di troppe variabili. Meglio concentrarsi sul breve periodo.

E i dati riguardo al qui e ora dicono che lo Stato spende per ogni profugo 1000 euro al mese (per alloggio, vitto) in un centro di accoglienza. E anche quando se poi gli sarà stato concesso il diritto di permanenza, cambierà il suo status, ma poco o nulla per quel che concerne le spese, se la persona in questione non troverà velocemente un lavoro.

Quello che nell’immediato si avvertirà è invece l’aumento delle persone che richiederanno un sussidio. Secondo un calcolo dell’IW (Istituto ricerca economia tedesca) nel 2016 saranno 1,2 milioni di profughi lo otterranno per un totale di 14 miliardi di euro in più. A questi si aggiungeranno, sempre secondo l’IW 5 miliardi di euro per corsi di lingua, integrazione e qualificazione. Questo totale di 19 miliardi di euro equivale alla metà di quanto speso nel 2014 per gli aventi diritto alla sussistenza Hartz IV (le persone senza alcuna entrata retributiva).

Se la maggior parte degli esperti è convinta che quest’anno ciò non rappresenterà un problema per le casse dello stato, già dall’anno prossimo se ne potrebbero però sentire gli effetti. Nel 2020 il nuovo indebitamento potrebbe dunque salire allo 0,8%.

Sono pronostici che mettono in guardia il presidente del BDI (l’Associazione industriali) e che lo spingono a dire: “Non possiamo pensare solo al finanziamento della crisi dei profughi”. Tradotto, non si possono investire tutte le risorse solo in questa direzione. È da mesi che gli esperti battono e ribattono sul fatto che c’è bisogno di investimenti nelle infrastrutture, nella formazione, nella istruzione, nel passaggio al digitale. E a proposito del digitale, l’economista Thomas Straubhaar in un suo recente intervento tracciava nuovi scenari economici, dove a vincere saranno quei Paesi che avranno investito massimamente nelle nuove tecnologie. La Germania rischia di perdere una occasione irripetibile di ammodernamento. Infine c’è la questione della manodopera qualificata, di cui il paese soffre significativamente. Una necessità usata fino a oggi usata per interpretare in chiave positiva l’arrivo di un milione e passa di profughi. Secondo l’economista dell’IWF Enrica Detragiache si tratta di una chimera. Stando a un recente studio del FMI i nuovi arrivati dall’Afghanistan, dall’Iraq, dalla Siria, dalla Somalia, dall’Eritrea sono in media meno qualificati della popolazione autoctona o di migranti di altri paesi. E questo è un problema, anche e soprattutto per la Germania. Di bassa manovalanza disoccupata ne ha abbastanza di sua: 1,2 milioni di persone a fronte di 110mila posti vacanti. Per cui, letto tra le righe, il Paese deve stare anche attento a non gettare il germe per una futura guerra tra poveri.



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